Capitolo 30

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“Guardate quante nubi!”.

Jungkook sollevò lo sguardo e notò come in effetti il cielo fosse diventato improvvisamente grigio e minaccioso.

“Sta per arrivare un temporale” osservò.

“Allora faremo meglio a correre verso casa” mormorò Jimin con un timido sorriso.

Jungkook provò una strana ma meravigliosa sensazione alla parola casa: da come l'aveva detto Jimin, era come se quell'edificio fosse diventato il loro nido, il luogo dove potevano riposare e sentirsi al sicuro.

Senza esitazione prese per mano il biondo e insieme a lui iniziò a correre in mezzo al prato fiorito e poi attraverso un campo di grano, fino alla strada che avevano abbandonato nemmeno mezz'ora prima. Vi giunsero stremati, ma ciò non li indusse a smettere di correre, ridere e tirarsi a vicenda.

Le loro risate infantili, gli sguardi e i sorrisi che si scambiavano erano come poesie di gioia e note di pura felicità. Jimin e Jungkook correvano e non sapevano quale sarebbe stato il loro futuro, ma stavano vivendo il più bello dei presenti, il più bello dei fiori nati dai semi dispersi nel vento.

La pioggia li sorprese quando erano all'incirca a metà strada. Non era una pioggerella passeggera, quanto piuttosto un temporale rumoroso, uno scroscio di acqua tiepida.

Alle loro narici giunse l'odore di terra bagnata e ai loro occhi giunse il violento oscillare delle fronde degli alberi che si ergevano in filari e in macchie disordinate al limitare della strada che stavano percorrendo. Le loro orecchie erano invase dal suono armonioso della pioggia che percuoteva il terreno e dal trillo allegro delle loro risate, che non avevano smesso di risuonare nell'aria nemmeno quando il temporale era iniziato.

“Ci prenderemo un bel raffreddore” si lamentò Jimin, con il fiatone a causa della corsa.

“Non importa” urlò di rimando Jungkook, per farsi sentire sopra allo scroscio di pioggia e per sfidare, in un certo senso, il brutto tempo.

Jimin sorrise, quindi si mise a correre più velocemente, tirando Jungkook dietro di sé e costringendolo a tenere la sua stessa andatura.

Quando arrivarono a casa erano fradici ed esausti, ma ancora sorridevano. Si guardavano spesso e ogni volta scoppiavano a ridere, euforici come mai prima di allora. Quella corsa sotto alla pioggia era stata pura libertà.

“Sto così bene quando sono con voi, Jimin... Non importa se c'è la pioggia o il bel tempo, non importa se camminiamo nella natura oppure se siamo circondati da quattro pareti: con voi sto bene sempre”.

“Lo stesso vale per me, Jungkook” confessò l'altro, appoggiando la guancia sul suo petto e ascoltando il suo battito accelerato. Jungkook lo strinse a sé e lo cullò dolcemente tra le sue braccia.

Erano in piedi nell'ingresso della casa della famiglia Jeon, incuranti di bagnare il pavimento sotto di loro e di poter essere visti da qualcuno della servitù. Tutto ciò che chiedevano era di potersi godere quei momenti in cui si trovavano insieme, ad ascoltare i loro respiri e i battiti dei loro cuori, che sovrastavano la melodia della pioggia al di là dei vetri delle grandi finestre dell'ingresso.

“Vi amo, Jimin”.

A sentire quelle tre parole il biondo ebbe la sensazione di essersi appena liquefatto. Avrebbe dovuto abituarsi all'emozione fortissima che provava al solo pensiero di essere legato in quel modo a Jungkook; sempre che abituarsi fosse possibile.

“Vi amo anch'io”.

Il moro sorrise e accarezzò dolcemente Jimin sulla testa, infilando le dita nei capelli bagnati e assaporandone il profumo a occhi chiusi. Era un misto di pioggia e di vaniglia e lo faceva impazzire.

Avrebbe voluto che quel momento quasi divino durasse in eterno e, per quanto era intenso e intessuto di gioia, un po' gli sembrò che in effetti si stesse prolungando all'infinito, ma forse quella sensazione era soltanto dovuta al fatto che lo stava apprezzando al massimo delle sue capacità.

Purtroppo, come tutte le cose belle, anche quell'attimo di silenzio, pace e armonia giunse a una fine. Gli occhi di Jungkook infatti incontrarono quelli di Namjoon, che era in piedi sul pianerottolo delle scale che portavano ai piani superiori.

Il giovane servo di casa sorrideva teneramente alla vista di quella scena e sebbene Jungkook sapesse che non era affatto contrario alla sua relazione con Mr. Park, si sentì comunque esposto e vulnerabile e lentamente allontanò da sé la testa bionda appoggiata al suo petto. Jimin lo fissò confuso, poi seguì la direzione del suo sguardo, si voltò e notò anche lui la figura in piedi sul pianerottolo.

“Non volevo interrompervi” mormorò Namjoon, assai triste.

“Non c'è problema” disse Jungkook sorridendo. “Potremmo avere dei vestiti asciutti e puliti? Siamo stati sorpresi dall'acquazzone”.

“Ma certo! Vi preparo anche un bagno caldo, che vi farà solo bene”.

Jungkook annuì, quindi tornò a prestare attenzione al viso angelico che lo stava osservando. “Nell'attesa che Namjoon prepari tutto, voglio mostrarvi la mia camera”.

“Solo se mi farete leggere altre vostre poesie. È lì che le tenete, giusto?”.

“Sì”.

Dopodiché il moro prese nuovamente per mano Jimin, intrecciò le loro dita e lo condusse su per le scale fino al primo piano, quindi lungo un breve corridoio dalle pareti di color verde acqua. Si fermò davanti a una porta dove era stata incisa, probabilmente con un coltello, la parola Jungkook.

“Siete voi l'artefice?” domandò Jimin, indicando con la testa quelle lettere scavate nel legno in uno stile semplice ma ordinato.

“Ovviamente. La scrittura deve evadere dalla prigione della carta e scoprire nuove terre, come ad esempio la porta di legno di un ragazzo di campagna”.

“Adoro quando vi esprimete in modo poetico” sussurrò Jimin, avvicinandosi a Jungkook e strofinando lentamente il suo naso contro quello del moro.

“E io adoro quando voi mi sorprendete con questi vostri gesti terribilmente intrisi di dolcezza”.

Jimin sorrise, quindi si allontanò, poggiò una mano sulla maniglia della porta e senza aspettare di ricevere il permesso entrò nella camera da letto.

Jungkook lo seguì con le braccia incrociate al petto. Ammirò quelle pareti, quel mobilio e quegli oggetti a lui tanto cari e che in quelle ultime settimane di permanenza a Londra gli erano mancati alla follia.

“Avete una bellissima vista sui campi” commentò Jimin, avvicinandosi a una delle due finestre presenti in quella stanza e osservando il meraviglioso spettacolo della campagna inglese avvolta in un cappotto d'acqua.

“Mi è utile per trovare l'ispirazione, a volte”.

“Dove tenete il vostro tesoro?” domandò il biondo voltandosi e lanciando un'occhiata in giro per la camera. Jungkook capì subito che ciò che quel ragazzo cercava non era denaro, bensì parole sgorgate direttamente dal suo cuore: le poesie e i brevi pensieri e componimenti, il tesoro proveniente da un'anima e da una penna d'oca.

“Nel cassetto”.

Quindi Jungkook si sfilò dal collo una semplice catenella con appesa come ciondolo una piccola chiave in ottone. La sfilò e la inserì nella serratura del cassetto, aprendolo con un colpo secco.

“I tesori devono essere tenuti sotto chiave” spiegò, estraendo fogli su fogli e disponendoli sulla scrivania.

“Avete scritto tutto questo?” domandò Jimin, sbalordito alla vista dei plichi di carta riempita di inchiostro, a volte perfino di macchie e sbavature, a volte spiegazzata, a volte strappata, ma così... vissuta.

Jungkook annuì, cercando invano di nascondere un sorriso di soddisfazione. “Non le ho fatte leggere a nessuno, perché farlo sarebbe come cedere un pezzo del mio cuore”.

“E a me le fate leggere?”.

“Voi già lo possedete il mio cuore, Jimin, quindi il problema non si pone” disse Jungkook, incrociando lo sguardo dell'altro e ridacchiando.

In quel momento Jimin si sentì quasi svenire sotto il peso di quelle parole. Era una strana sensazione e il ragazzo si disse che era semplicemente dovuta al fatto che amava alla follia quel giovane dai capelli scuri e dal cuore romantico e poetico.

Compromise || JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora