Capitolo 41

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Jungkook uscì in fretta, ma poi si bloccò. Si era appena ricordato che in camera sua, chiusi a chiave nel cassetto della sua scrivania, c'erano tutte le sue poesie, i suoi racconti, i suoi componimenti; in breve, il suo tesoro più prezioso.

Non poteva lasciarli lì, non poteva abbandonarli, ma non poteva nemmeno tornare indietro, in quell'inferno che non poteva più chiamare casa.

Sentì l'animo dividersi in due e per qualche istante non seppe davvero che scelta compiere.
Poi una mano si posò sulla sua spalla e lo fece sussultare. Con la speranza ad animarlo, il giovane si voltò.

Si aspettava di vedere o suo padre o sua madre, che lo avrebbero abbracciato, gli avrebbero chiesto perdono e lo avrebbero supplicato di tornare dentro casa. Invece non era nessuno dei due: era Namjoon.

Il domestico aveva sentito che cosa stava accadendo e, comprendendo che presto Jungkook sarebbe stato cacciato, si era precipitato in camera sua e aveva racimolato per lui gli averi che di certo gli sarebbero serviti e da cui non poteva separarsi.

Poi aveva lanciato un'occhiata alla scrivania, dove sapeva che erano riposti gli scritti del ventenne. Capendo che separarsi da essi sarebbe stato insostenibile per lui, aveva forzato la serratura del cassetto e li aveva estratti tutti, nessuno escluso. Poi li aveva messi in una borsa e si era precipitato dal suo giovane padrone per consegnargliela.

Appena Jungkook capì che cosa c'era dentro a quei quadrati di stoffa cuciti insieme, abbracciò il servitore e gli disse: “Grazie, Namjoon. Voi siete l'unico in questa casa ad avermi amato realmente. Vi sarò debitore a vita. Sono certo... sono certo che prima o poi ci rivedremo”.

Namjoon gli accarezzò i capelli. “Non dovete ringraziarmi, Jungkook. Vi meritate di essere felice, proprio come tutti. Ma adesso andate e raggiungete il vostro amore.
In questo mondo dovrebbero esserci più persone come voi. Siate forti, siate felici, siate voi stessi”.

Jungkook sciolse l'abbraccio, poi prese in mano la borsa di tela. Namjoon gli sorrise e lui ricambiò, sebbene tra le lacrime.

Infine si voltò e percorse il vialetto che conduceva fino in strada. Lì si girò per l'ultima volta a osservare l'edificio dove era nato e cresciuto, dove aveva riso, pianto, giocato, scritto fiumi di parole, amato e sognato.

Quella non era più casa sua.

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Jungkook non aveva né un cavallo né una carrozza e gli si spezzava il cuore al pensiero che non avrebbe mai più rivisto il suo adorato Milton.

Dovette semplicemente camminare, tenendo in spalla la borsa di stoffa datagli da Namjoon, fino a giungere in paese, alla locanda dove sperava di incontrare Jimin.

Non aveva nulla, se non se stesso, le sue lacrime, il suo cuore e una borsa contenente pochi oggetti utili e un tesoro in prosa e in poesia.

Quando entrò in paese il sole era già calato da un pezzo. Il ventenne si diresse a passo spedito verso la prima locanda sulla strada e aprì la porta con la speranza di trovare all'interno la persona per cui aveva perso tutto e allo stesso tempo aveva ottenuto il mondo.

Jimin sedeva in un angolo e beveva una birra. Aveva atteso a lungo, con sempre maggiore trepidazione, e più di una volta era stato tentato di alzarsi e tornare alla tenuta dei Jeon per restare accanto a Jungkook. Il buon senso, però, l'aveva trattenuto lì. Aveva aspettato e intanto aveva pregato che tutto si risolvesse per il meglio.

Quando la porta si aprì e il moro fece il suo ingresso in quella piccola locanda di provincia, il biondo si sentì liberato di un peso immane. Gli sorrise e con un cenno lo invitò a raggiungerlo in quell'angolo appartato, in modo che potessero parlare senza che la loro conversazione venisse origliata dagli avventori.

Compromise || JikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora