Epilogo

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La parola "fine" non dovrebbe essere mai usata se non per riferirsi alla morte. Nemmeno la parola "inizio", a dire la verità. Ogni storia non è altro che un piccolissimo e irrilevante spiraglio di un'immensità infinita che in realtà non lascia nessuna traccia.

I fiori ne sono l'esempio perfetto. La loro fioritura è veloce, la loro vita lo è ancora di più e la loro morte è silenziosa e passa inosservata, quando a rimpiazzarli sbocciano fiori più freschi e più belli. 

Jean pensava a questo mentre vedeva T/N sistemare le aiuole del giardino con estrema cura e dedizione, facendo attenzione a non rovinare le foglie e i germogli traboccanti di vivacità. Il suo viso era paradossalmente assente e indifferente, dipinto da una serenità solo apparente.

La casa di cura la ospitava ormai da nove anni, da quando lei aveva compiuto diciotto anni. Dopo la riconquista di Shiganshina le crisi erano aumentate considerevolmente per poi sparire improvvisamente per due anni, trasformandola in un'automa senza volontà né voglia di vivere. 

Inspiegabilmente poi erano riapparse all'improvviso, più violente che mai. I dottori che l'avevano visitata avevano ipotizzato un disturbo schizofrenico ma non erano mai arrivati a conclusioni certe. 

Hanji, nuovo comandante del Corpo di ricerca, aveva quindi optato per la casa di cura. Una soluzione molto sofferta, a cui Jean si era opposto fermamente, ma quando anche il capitano Levi si era dimostrato favorevole all'idea, il ragazzo aveva ceduto, a malincuore.

Dopo diversi anni, aveva però dovuto ammettere che era stata la scelta più giusta. La andava a trovare con regolarità, portandole regalini e svaghi, inizialmente per tenerla impegnata e per cercare di alleviare la sua reclusione forzata, ma quando si era reso conto che lei non si sentiva imprigionata ma quasi appagata e più tranquilla in quella bolla protetta, aveva continuato a portarglieli esclusivamente per abitudine.

A volte lei scordava chi lui fosse, ma durante i loro incontri non si scomponeva mai e parlava pacatamente con quello sconosciuto momentaneo con gentilezza e candore. Quando lo riconosceva, un timido sorriso le incorniciava il volto e cercava con imbarazzo di scusarsi per la sua terribile memoria e si comportava con più disinvoltura. Per Jean era stato uno strazio assistere a questo per la prima volta, ma poi si era abituato e accoglieva con gioia i momenti in cui lei lo ricordava.

T/N trapiantava i ciuffetti di erica con una lentezza quasi regale, controllando che non ci fossero pidocchi o insetti nascosti tra i suoi rametti.

Jean non aveva imparato a dimenticarsi dell'amore che provava per lei, ma le vecchie braci che Mikasa aveva lasciato nel suo cuore si erano riaccese una mattina in cui stava disegnando insieme a T/N nel giardino, quando si era accorto che il viso che aveva preso forma sulla carta era quello della sua compagna e non quello di T/N.

Aveva accettato la novità, così come aveva accettato la nuova sistemazione della sua amica.

Forse lei non sarebbe mai uscita da lì, o forse si, un giorno. C'era tanta speranza in quel giardino traboccante di vita, che abbracciava anche T/N, sebbene lei non se ne accorgesse davvero.

La ragazza alzò gli occhi dal suo lavoro e si accorse dell'intruso. Mise una mano protetta da un guanto da giardino davanti agli occhi, per proteggersi dal sole. 

Sorrise.

Jean sorrise a sua volta.

Armored Heart |Bertholdt X Reader|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora