13. La trappola del tempo

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4 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.

L'atmosfera che si respira all'interno dello spoglio caffè a due passi dalla società Grimaldi sembra dare l'idea di star vivendo un istante bloccato nel tempo. O almeno, questo è ciò che Mattia prova, di fronte alla sua grande tazza di caffè fumante. Alla ragazza, la stessa che solo pochi giorni prima lo aveva ignorato per poter far primeggiare le proprie faccende, aveva ordinato un cappuccino ed un muffin al cioccolato bianco. Non ci sarebbe stato bisogno di avanzare alcun tipo di richiesta se dietro al bancone fossero rimasti i genitori di lei, proprietari del negozio da anni. Il padre, in particolar modo, si sarebbe premunito per tempo di presentargli dinanzi gli occhi il piatto con il muffin posto al centro, aggiungendovi una spolverata di cacao: lo faceva sempre, da che Mattia era piccolo e si presentava al bar con suo nonno, il vero ed unico proprietario dell'impero Grimaldi.

Un uomo totalmente differente da ciò che Mattia è diventato: ogni giorno, per sorprendere il proprietario, cambiava puntualmente ordinazione, inventandosene di fantasiose. Il proprietario, che tanto sperava di indovinare i suoi gusti, tentava di anticipare le sue richieste ordinando per primo, con il suo stesso tono di voce, ma il Grimaldi smentiva, muovendo il dito in un verso di diniego. Scherzavano tanto amabilmente essendo amici di vecchia data, cresciuti insieme e continuati ad essere l'uno al fianco dell'altro persino quando le loro strade lavorative si erano divise.

Era bastato che al Grimaldi si presentasse l'occasione di poter acquistare quel lotto di terra rimasto libero, al fianco della sua società, per poter dare una locazione fissa all'amico, grazie a un mutuo che il proprietario del bar si era impuntato di volergli restituire nel corso degli anni. Ci era riuscito per tempo, dieci anni prima che il Grimaldi morisse, potendo così firmare sul contratto di proprietà il proprio nome. Avevano fatto persino la guerra insieme, che Mattia ricordi.

Solleva gli occhi dal cappuccino per direzionarli verso la fastidiosa presenza della figlia di un simile passato; l'alterazione a quell'atmosfera di ricordi intrappolati, l'aggiunta della quarta dimensione, l'aggravante. Nemmeno la conosceva e da parte sua Greta, questo il nome della cameriera, non conosceva lui. Aveva solo saputo da suo padre, non appena si era stretta alla vita il grembiule riportante il logo del locale, che se solo Mattia Grimaldi fosse tornato dalle americhe, periodo durante il quale Greta aveva completato la sua formazione di cameriera, allora si sarebbe dovuta mostrare gentile ed incline ad ascoltare le sue esigenze. Questo perché, a detta del padre, Mattia era un tipo molto particolare. Sì, l'uomo lo pensava, ma non lo aveva mai lasciato intravedere, vista l'amicizia che lo legava al nonno di lui e vista l'innocenza che pareva trasparire negli occhi di Mattia, da piccolo.

Greta avrebbe ascoltato i suoi consigli, se solo le avesse descritto il tipo di uomo che si sarebbe dovuta trovare dinanzi. In quel caso, non sarebbe stato difficile: begli abiti, bell'aspetto, altezza sul metro e novanta, capelli castani, occhi marroni e sguardo perso, per la maggior parte del tempo.
È un locale poco frequentato, il loro. La maggior parte dei visitatori sono gli impiegati dei Grimaldi, pronti a precipitare in direzione del bancone solo agli orari stabiliti da contratto. Per il resto delle ore unicamente quello strano uomo, che al momento siede ad un tavolo al termine della sala, con davanti un cappuccino ed un muffin, e qualche altro camionista sono presenti.

Mattia osserva questi ultimi da lontano, avendo scelto quel posto della sala per poter essere certo che alle sue spalle non ci fosse nessun altro se non il muro, mantenendo così il controllo di ciò che gli occhi potevano ancora vedere, sfrecciando da sinistra a destra in un moto costante.

I due stavano parlando degli orari stressanti del loro lavoro, di qualche prostituta trovata lungo la strada e della scorrettezza di certi imprenditori. Lo infastidisce, preferirebbe pagarli perché stessero zitti. Suo nonno lo faceva; tirava fuori dal portafoglio mille lire davanti agli occhi dei più fastidiosi, chiedendo gentilmente loro di "portare fuori dal bar le loro stronzate comuniste".

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