27. Desiderio d'amore

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14 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.

Una domanda. Ecco ciò che è presente su entrambe le pagine del taccuino di Sanna. Un'unica domanda, scritta di fretta, dopo uno degli incontri con Mattia al solito bar in cui, persino adesso, lo psicologo lo aspetta. Accomodato ad uno dei tavoli, avendo scelto la sedia con le spalle alla parete che di solito occupa il Grimaldi nei loro appuntamenti, Sanna rilegge quella domanda e riflette, da solo, su ciò che comporta.

È un bravo psicologo, quell'interrogativo è nato a seguito di una delle prime sedute se non alla prima stessa, ed il fatto di essere tanto bravo lo deve alla sua meticolosità e alla capacità di non accettare la fretta di terzi. Per questo aveva rifiutato tanto sgarbatamente l'invito di Diego nel porgergli consiglio, per ristabilire i limiti e per garantirsi di poter respirare almeno quei soli attimi in cui, in attesa di Mattia, rimane solo con se stesso.

Ha paura della strada che sta per percorrere, non può negarlo. Ora che le domande circostanziali con Mattia sono finite e ora che la lama dovrà affondare sempre più giù, nella carne irrequieta dell'uomo generando reazioni violente e improvvise, si chiede quanto sarà in grado di mantenere la calma oltre che a distaccare la figura innocente di Mattia da quella di un uomo feroce.

Aveva intravisto quel lato nascosto del carattere di Mattia quando lo aveva accompagnato fuori dalla cella. Aveva visto come Mattia gli sorrideva attraverso le sbarre, quasi sussurrandogli, piano in modo che potessero sentirlo solo tra di loro, che sì, sì era stato lui. Aveva picchiato a morte quell'uomo dentro al bar, così, solo per una ripicca di lavoro... o forse per qualcos'altro, lo aveva suggerito in quello sguardo, lo aveva reso palese il viso troppo simile di quell'uomo a Diego.
Sanna aveva intravisto quel mostro ma non poteva esserne certo. Dietro delle sbarre è facile riconoscere una belva, se rinchiusa nel proprio zoo, ma contestualizzarla nel mondo, fuori dalla nauseante asfissia della prigionia, è tutt'altra cosa.

Sanna chiude il taccuino, nascondendolo all'interno della giacca. Lancia uno sguardo alla cameriera del locale, la stessa che gli aveva parlato dell'unico prodotto confezionato e ordinato da Mattia e che aveva servito a entrambi, più volte, la cioccolata calda, sorridendo nella sua direzione. La donna lo ricambia. Il suo sguardo gli ricorda quello di sua moglie morta ed in qualche modo, ad ogni incontro, questo gli dona la forza di affrontare quello che lo aspetta, proprio come accadeva quando, prima di recarsi nel proprio ufficio, aspettava il bacio di sua moglie come un quotidiano saluto.

Reincarnata in quella versione più giovane, timida e silenziosa, sua moglie passeggia tra i tavoli come un angelo custode e gli sorride al momento giusto, avendo preso a cuore il simpatico volto di quel vecchio uomo. Sanna le è grato e si costringe ogni volta a non precipitare nei ricordi per poter essere solo uno psicologo ogni qual volta Mattia passa da quella porta.

Controlla l'orologio con il cinturino in nera pelle al suo polso, valutando lo scattare dell'ora seguendo il lento movimento delle lancette dei secondi. Ne rincorre il conteggio alla rovescia, in una retrocessione di numeri fino allo scattare l'ora. Le quattro in punto.

Sanna solleva la testa e in quel preciso istante Mattia entra all'interno del bar.

In un primo momento l'invitato sembra sorpreso di vederlo arrivare in orario, poi si incupisce nel constatare la propria postazione occupata. Tenta di non darlo a vedere e si avvicina a lui, con fare distaccato. Il tentativo è patetico, avendo visto come Diego vi riesca senza tradire una sola smorfia, ma Sanna è convinto a non farsi intenerire.

«Sei in anticipo. È una bella sorpresa» commenta Mattia, accomodandosi al tavolo con la propria mal celata impacciataggine.

«Sono andato al cimitero a lasciare dei fiori a mia moglie e trovandomi già in zona ho deciso, per una volta, di batterti.»

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