17. Il cavallo a dondolo

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7 Dicembre 1970, Cuneo (Langhe), Piemonte.

Ricostruire è qualcosa di estremamente faticoso.
Rimettere insieme se stessi, dopo che un violento terremoto ha causato danni irreparabili a qualunque certezza, costringe a far rimanere esposta la calce viva con cui ergiamo nuovi muri, distruggendo ponti. Ci si richiude sempre di più in se stessi perché insicuri.
Quale patetica e furibonda azione.

Valeria si sveglia nel suo nuovo e solitario letto proprio in questo modo; con la sensazione di essere stata fregata alla grande. Aveva accettato di fronteggiare qualcosa di più grande di lei e ne era uscita tremante, piena di dubbi e di nuove insicurezze.
Si solleva a sedere, scostando coperte dal corpo e capelli dal viso fino a che le dita non le sfiorano quella precisa parte del collo che ancora risente di un ricordo.

Scende del tutto dal letto e si avvicina allo specchio del proprio bagno, costatando che niente è rimasto impresso sulla pelle.
Lo aveva visto la scorsa notte quel morso, dinanzi quello stesso specchio che ora sembra averlo dimenticato, e la mente lo aveva inciso nella memoria per sempre. Le dita avevano percorso il tragitto di quelle rosse linee così come ora stanno accarezzando uno spazio vuoto.
Non sa cosa fare, ha paura di pensare.
L'unica alternativa è lasciar credere che non si sia trattato di niente, ogni cosa che è successa la sera precedente. Le parole che si sono detti e quello che entrambi hanno fatto.
Vale avverte ancora la morbidezza dei capelli di lui tra le mani, il calore della pelle all'altezza del suo collo e così si convince di dover dimenticare tutto al più presto.

Deglutisce ed abbassa di colpo la mano, uscendo dal piccolo bagno.
Dimenticare è l'unico modo.
Le fa ricordare che è per vendetta che è riuscita a sopravvivere.

-

Di suo marito non c'è alcuna traccia, né in casa né all'esterno ma la sua macchina è rimasta parcheggiata dove l'avevano abbandonata il giorno precedente quindi, suppone Vale, non deve essere andato lontano, muovendosi a piedi.

Vestita di abiti pesanti in grado di sopportare il freddo piemontese, calato drasticamente sulla città nel corso di una sola notte, Valeria si avventura nel giardino della casa, muovendosi nella direzione del vecchio rudere.

A prima vista lo stato di abbandono dona un aspetto fatiscente alla struttura, aggravato dalla presenza di enormi e bucati drappi verdi, usati in passato probabilmente come lenzuoli al di sopra degli attrezzi per non lasciare che la ruggine li raggiungesse, rimanendo affissi come bandiere delle vittorie atletiche in un palazzetto.

Poi, ancora la presenza di vecchi strumenti da lavoro. Di polvere, chiodi e foglie secche, distribuiti lungo lo spazio in una privazione di logica.
Vale nota il soppalco completamente sgombro del piano superiore ed un immagine terribile di Mattia da piccolo, fermo con le mani strette alla ringhiera di quel secondo piano, la raggiunge come uno schiaffo violento. Si immagina scuri occhi di infante fissi e privi di qualunque emozione ed avanza, incredibilmente, verso il magnetismo dato da essi finché lo scontro con un oggetto sul pavimento intacca i suoi passi, la porta ad abbassare lo sguardo e fa correre via quel bambino onirico verso un luogo in cui Valeria non potrà mai raggiungerlo.

Ha calpestato uno vecchio gioco, dalle dimensioni più piccole del proprio palmo: un cavallo a dondolo completamente intagliato in un legno chiaro e verniciato, nell'attribuzione delle briglie, di un rosso scolorito dal tempo.

«Va tutto bene?»

Sobbalza e ruota interamente il corpo verso la voce di Diego, chiudendo istintivamente il giocatolo all'interno della propria mano e trovando il marito in piedi alle sue spalle con la mano tesa a tenere il collare di Zampa.
Il tenero cane la fissa dal basso, eccitato dalla sua presenza tanto da muovere la coda frenetico e da avere la bocca aperta, con tanto di lingua di fuori.

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