38. Il dono

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26 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.

Era probabile che i genitori non se ne fossero accorti, ma chiedere a Gaia di resistere per un intero giorno prima di avere i suoi regali era stata per la piccola una sofferenza inaudita. L'unica cosa che l'aveva stemperata era stata la gioia di vedere suo padre e sua madre di nuovo riuniti in un'unica stanza. La piccola aveva colto delle parole tra i due, avvertendo del palese imbarazzo nel modo con cui si erano porti gli auguri, ed era finita per sorridere.

Tramite la visione innocente della vita, Gaia stava regalando a tutti delle ore di seconda possibilità perché altro non aveva fatto che spingere sua madre verso suo padre, chiedendo di scattare delle polaroid tutti insieme, suggerire di occuparsi al contempo del piccolo Davide oppure della cena in forno. Mansioni comuni che per anni avevano svolto tutti i giorni ma che di colpo si erano riempite d'imbarazzo nel dover essere fatte in solitudine ed anche di tristezza, ma questo la piccola poteva solo intravederlo. Inoltre, aveva fatto molto di più: poco dopo il pranzo aveva coinvolto suo zio a partecipare a un piccolo gioco con lei ed Edoardo.

Diego si era mostrato reticente, da che si era presentato in casa loro quella stessa mattina si sforzava solamente di sorridere e chiedergli di farlo senza alcun pudore lo riempiva di stanchezza, ma poi non aveva trovato alcuna via di fuga. Cedendo al bisogno di compagnia dei piccoli, aveva lasciato anche ai soli due adulti restanti la possibilità di un ricongiungimento non sperato.

Seduto sul tappeto del soggiorno, era rimasto a guardarli parlare alcuni istanti, mentre i piccoli non notavano, e aveva tentato di cogliere quelle microscopiche parole scivolate loro di labbra.
Finalmente libero dal ruolo di intrattenitore, piombata la sera, si era poi quindi alzato e aveva raggiunto l'amica Silvia che, con un calice di prosecco in mano, stava osservando i suoi figli con gli occhi appena velati di pianto.

Ed ora, alle sette e trenta di sera, l'unico Grimaldi ad avere il sangue avvelenato dalla purezza del proprio cognome è ancora in piedi a sostenere la donna. Posando una spalla contro una parete, è rimasto ad osservarla per alcuni istanti ed ora ha finalmente preso la decisione di esternare parole che vuole dirle da tempo.

«Gli parlerai?» L'assenza del soggetto rende implicito a chi si stia riferendo.

«Non lo so ancora.»

«Che cosa ti frena?»

«Non abbiamo chiarito niente.»

«Ma hai voglia di tornare da lui, lo vedo, Silvia, e anche mio fratello ne ha bisogno. Potete farlo con il tempo... il distacco non porta a niente.»

«Ho paura che possa ancora tradirmi. Che possa arrivare a mentirmi, guardandomi in faccia.»

Diego tace, assorbendo quelle parole e sentendo di averle potute pronunciare lui stesso, nell'alternativa di un'altra vita.

«Sta a te decidere se ne valga la pena correre il rischio, ma hai una famiglia fantastica e i piccoli ne hanno bisogno. Non dico che debbano venire prima di tutto anche su questo... ma funzionate. È stato l'errore di un unico sbaglio. Tu non l'hai commesso ma mio fratello non è come te. Lo consoci meglio di quanto lo faccia io, è insicuro, poco socievole ma se gli dimostri di amarlo ti ricompensa con tutto ciò che ha.»

«Non avrebbe dovuto farlo con Isabella.»

«Non avrebbe dovuto con nessuna, ma è successo. Se lo ami devi garantirgli il modo di spiegartelo.»

«È questo che hai fatto tu, ieri notte, partecipando alla tua cena di famiglia?»

Diego incassa il colpo, capendo quanto possa apparire dall'esterno uno sbaglio.

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