33. Ciò che può perdere

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21 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.

La fiamma di una candela sopravvive nella centralità del tavolo tremando e scomparendo appena, in certi istanti, allo scontrarsi con l'aria gelida che filtra dalle finestre. Vibra, si rende piccola in meno di un attimo, quasi da sembrare impaurita, prima di ritornare ferocemente eretta nel consumare se stessa, così come la natura del suo essere le ordina di fare.

Rimanendo a fissarla, Valeria non sa spiegarsi in quale, dei due istanti, la candela stia compiendo l'azione più giusta, se nell'auto conservarsi o se nell'auto distruggersi, perché non lo ha mai capito nemmeno per se stessa. Non sa se sia più giusto nascondersi per evitare di continuare a soffrire oppure continuare a combattere in modo feroce e credere di starlo facendo per vivere davvero, quando non si fa altro che morire. Riesce a pensare solo ad una cosa; la candela al minimo della sua altezza, ricurva nel proprio stoppino, mostra una proiezione di sé, la sua ombra, molto più estesa mentre nell'apice del suo splendore di fiamma l'ombra del tutto scompare e lei è da sola, a continuare a brillare.

«Io ho paura» sussurra, al centro del silenzio, prima di sollevare gli occhi dalla candela e fissarli in uno sguardo già intento ad osservarla. La voce diviene più dura, l'espressione più ferita. Valeria brucia, pur rimanendo contratta. «Paura di diventare come te.»

Sofia pare quasi non preoccuparsi di simili parole, continuando imperterrita a dispiegare le pieghe presenti lungo la tovaglia.

«Non mi è mai piaciuta la tua impertinenza» le dice ad un tratto, cessando di occuparsi di quella misera mansione di cui si era presa carico e smettendo così anche di fingere disinteresse.

«E a me non è mai importato di piacerti dopo tutto ciò che mi hai fatto... ma non voglio in alcun modo assomigliarti.»

L'altra appare divertita da una simile affermazione.

«Credo che non esista al mondo un modo per renderti simile a me. Se solo ci fosse stato, credimi, lo avrei usato.»

«Perché?»

«Perché non ti attieni mai alle regole, siciliana. Perché tu giochi sleale, sempre.»

«Sono così importanti per te le regole?» Domanda Valeria prima di sbuffare in un mezzo sorriso, fissandosi intorno. «Certo, perché lo chiedo...»

«Ti fai beffa del modo con cui sono cresciuta ma non sono stata io a chiedere la carità. Mi hanno insegnato a non supplicare e questo mi ha portato ad avere un orgoglio e una dignità che tu hai perso il giorno in cui ti sei buttata in ginocchio ai miei piedi, mettendoti a urlare calunnie.»

«Credi ancora che siano state calunnie?»

«Non importa ciò che credo perché non cambia i fatti. Hai già avvelenato questa famiglia a sufficienza.»

A seguito di queste parole Valeria rimane in silenzio e Sofia torna a dispiegare le rughe della stoffa, concedendo così a entrambe degli istanti dentro i quali scaricare la frustrazione.

«Mi hanno accusata di somigliarti...»

«Chi te lo ha detto? Mio figlio?»

Alla sola nomina indiretta nei riguardi di Diego, accompagnata come è stata da una sorta di ironia maligna, Valeria ripristina la propria grinta per poterla fronteggiare come si deve.

«Non è stato solo lui, anche Silvia lo ha fatto... e so che lo ha detto anche a te.» Il mutismo che ne consegue lascia sorridere Valeria in un modo più sinistro. «Lei la rispetti, non è vero? Perché credo che ti somigli per la sua storia.... sentirla paragonarti a me ti ha fatto male...»

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