39. Vendetta

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27 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.

Portare rancore è una malattia che avvelena l'animo. Valeria lo sa bene. Conosce quel sentimento da anni e ha avvertito ogni istante durante il quale questi si è introdotto al di sotto della sua pelle come un secondo respiro, come una voce strisciante e blasfema pronta a suggerirle azioni che prima di quel momento si era ritenuta incapace di poter praticare, fino ad arrivare all'istante in cui del proprio animo non era rimasta che una macchia oscura, incapace di sopportare la ben che minima luce.

Affrontare l'orrore di noi stessi fa paura e conduce, in ogni caso, a una resa dei conti con ciò che abbiamo smesso di essere.
Chiunque può credere che vendicarsi gli possa permettere di inseguire un ideale del tutto puro ma difficile è concepire quanto a fondo le mani si siano sporcate per poterlo realizzare. Solo da quest'ultima pratica ci si può rendere conto della persona che forse si è sempre stati, o verso la quale si era propensi ad essere, perché in un insieme di azioni e conseguenze il punto di ritorno minaccia di essere raggiuto. Nel caso non ci si sia accostati a una simile meta, allora anche l'arresto, poco prima del baratro, è considerabile come un ultima decisione spinta da un istinto irrazionale.

Quanto si è pronti a dichiarare se stessi e quando a presentarsi dinanzi agli altri, con la nostra vera faccia?

Nel corso della sua vita, Paolo ha incontrato molte persone, molti pazienti e caratteri difficili, con cui ha avuto a che fare per mesi, alcuni addirittura anni, per cui crede di essere pronto a ciò che sta per arrivare, con una sola eccezione. Così come la sua empatia lo ha condotto a disprezzare Mattia ogni qual volta lo psicologo riacquistava il diritto di guardare l'uomo con gli occhi di una persona qualunque, la stessa empatia lo ha portato ad affezionarsi al carattere battagliero di Valeria, accompagnando l'affetto all'ammirazione.

La paura che l'uomo prova è quella di non poter essere oggettivo, nonostante i molti anni di professione. L'idea di poter provare una sorta di preferenza per i propri pazienti nei primi tempi del suo lavoro lo avrebbe fatto scappare via così da correre all'ordine e dichiarare il proprio addio.
Solo l'anzianità gli ha permesso di comprendere quanto anche l'istinto sia importante nel suo lavoro di psicologo. Intravedere qualcosa, al di sotto di un primo strato di facciata, è importante quanto ciò che è reso visibile all'esterno per cui Sanna è pronto a ciò che ormai risulta necessario a entrambi di doversi dire, nonostante l'evidente esitazione di lei.

Lo psicologo volge il corpo all'indietro, allontanandosi dalla visione della strada, oltre la finestra, per poter fissare la schiena di Valeria intenta a tacere e osservare i quadri ad una parete.
Negli occhi dell'uomo c'è tutta la preoccupazione, la pazienza, il rispetto che può rivolgerle mentre in quelli di Valeria, per quanto il corpo di lei pretenda di concentrarsi sull'arte appesa ai muri tinteggiati di verde, sono rivolti a terra e percorsi da una dosa infinita di tristezza.

Avrebbero dovuto parlare da diversi minuti, ma nessuno dei due sembra preoccuparsi dello scorrere delle lancette. Sono in attesa solo della giusta dose di coraggio ma comprendere quanto possa tardare ad arrivare riempie entrambi di ulteriore preoccupazione.

«Vorrei iniziare la seduta di oggi chiedendoti scusa» parte a parlare l'uomo, destando il coinvolgimento in lei e portandola a rivolgergli il proprio volto. Sanna ci spia all'interno, prima di poter proseguire. «Ti avevo detto che questi incontri si sarebbero svolti solo a favore di Diego, della tua relazione con lui... ma oggi è necessario affrontarlo. Dobbiamo parlare di Mattia, Valeria, e della tua vendetta nei suoi riguardi.»

«Non mi hai mentito» riferisce lei, tentando di sorridere come meglio può. «Mi avevi già detto che lo avremmo affrontato... e che avevi delle teorie, al riguardo.»

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