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Adam

È da quando ci siamo seduti a tavola con la sua famiglia che sto osservando Nehemia mentre ceniamo. La luce dei sorrisi che avevo visto prima durante la sfilata sembra ora un po' offuscata, e nonostante lei stia parlando con la sua famiglia e le nostre mani sono intrecciate sulle mie gambe, c'è un'assenza di gioia che riesco a percepire. Anche mentre chiacchera con Aiden e la sua famiglia c'è qualcosa nel modo in cui mi stringe la mano che mi suggerisce una distrazione, una sorta di barriera emotiva che si è innalzata. Le ho anche chiesto se andasse tutto bene e lei mi ha risposto annuendo con un accenno di sorriso. Con discrezione, cerco di cogliere segnali nei suoi occhi, ma lei sembra trattenere qualcosa. È come se fosse qui ma con la mente fosse assente e non posso ignorare del tutto l'atmosfera tesa che percepisco. Noto solo gli scambi di sguardi tra lei e sua madre, e nonostante la confusione nei miei pensieri e una sorta di preoccupazione decido di rispettare il suo spazio, evitando di fare domande dirette nel tentativo di non metterla ulteriormente in difficoltà. Vedendola parlare e chiacchierare con la sua famiglia, posso percepire che sta facendo uno sforzo per mantenere un senso di normalità e le carezze sotto al tavolo diventano un linguaggio silenzioso tra di noi.

Solo una volta che siamo nell'appartamento, soli, forse posso affrontare l'argomento. Entriamo nell'appartamento e il silenzio si fa sentire, interrotto solo dal suono dei passi. Nehemia sembra assorta nei suoi pensieri, mentre si stringe nella mia giacca che le ho gentilmente dato una volta fuori dal locale e io, pur rispettando il suo spazio, sento il bisogno di affrontare la situazione. La seguo in silenzio mentre si dirige in camera da letto, dove la luce soffusa contribuisce a creare un'atmosfera intima. Si siede sul bordo del letto e fa per togliersi i tacchi ma in pochi secondi mi accovaccio ai suoi piedi e la aiuto. La guardo mentre glieli sfilo prima da un piede e poi dall'altro e lei ricambia lo sguardo. "Grazie..." mormora. "Non voglio entrare nella tua testolina o pressarti, so che è successo qualcosa, capisco quando non sei al cento per cento con me; quindi, se non vuoi parlarmi o aprirti fa niente, lo capisco..." le accarezzo le caviglie e poi allungo la mano per accarezzarle il viso con il dorso. Deglutisce e chiude gli occhi mentre la sfioro. "Voglio tornare a casa..." lo dice spostando delicatamente la mia mano per poi alzarsi e allontanarsi da me, come se volesse mettere un muro, dandomi le spalle. La guardo incapace di tenere a bada il mio bisogno di toccarla e averla vicino per sapere che cavolo ha. "Nehemia..." mi tiro su e mi avvicino. "Torniamo a casa per favore..." ripete guardando verso la vetrata e quando le sfioro la spalla con la mano quasi sobbalza. "Va bene... sistemo i vestiti, ok?" resta immobile e quindi decido a mio malgrado di mettere spazio tra di noi. "Faccio una doccia." Vedo che si stringe le braccia attorno ai fianchi e senza guardarmi si affretta a raggiungere il bagno. Stringo le mani a pugno, sentendomi impotente di fronte a questa barriera improvvisa, e decido di trattenermi dal raggiungerla, rispettando il suo bisogno di solitudine momentanea. Con un senso di incertezza nell'aria, mi trovo a sistemare le nostre valigie, cercando qualcosa da fare per tenere la mente occupata. Le mani si muovono meccanicamente, ma la mia mente è in subbuglio. Mi chiedo cosa sia successo durante la cena, cosa abbia causato questa repentina distanza emotiva. La mia preoccupazione si mescola con la frustrazione di non poter fare nulla di più al momento. La valigia diventa un modo di scaricare la tensione, di focalizzare l'energia in qualcosa di tangibile mentre aspetto il momento giusto per affrontare la situazione con lei. Mentre l'acqua scorre nella doccia e il suono rimbomba nell'aria, decido di non buttare i vestiti disordinatamente come sono solito fare, ma invece li piego con attenzione, seguendo il metodo in cui Nehemia stessa li ripiega sempre. Diventa quasi un modo per sentirmi connesso a lei, anche se solo attraverso i suoi vestiti. La mia mente è ancora piena di domande e preoccupazioni quando chiudo le valigie, e decido di allentarmi la cravatta e di togliermi lentamente i vestiti per poi raggiungerla in bagno. Il mio cuore inizia a battere leggermente più veloce mentre osservo l'acqua scendere sul suo corpo nudo. Non so neanche se vuole avermi vicino ora, continua a darmi le spalle quando entro nella doccia, stando dietro di lei. Lei non parla, ed io mi avvicino lentamente, con attenzione, percependo tensione nell'aria e la complessità delle emozioni che ci circondano. "Posso...?" poso le mani sui suoi fianchi e lei annuisce con il viso. Sento il suo petto gonfiarsi mentre prende un bel respiro. "Qualsiasi cosa sia successa... io sono qui." le mie braccia le avvolgono i fianchi, e il suo corpo nudo preme contro il mio ora. "È tutto ok, sto bene, sono solo stanca..." risponde finalmente e sento tutto il peso delle sue parole dato che so che non sta bene. Mi accarezza le braccia con le mani. "Lascia fare a me allora e poi torniamo a casa..." con una dolce attenzione, inizio a lavarla delicatamente. Le mie mani seguono i contorni del suo corpo, lasciando da parte per una volta il desiderio fisico e lei mi permette di prendermi cura di lei mentre il suono dell'acqua che scorre si mescola al silenzio che ci avvolge. Le passo la spugna sulla schiena, sulle spalle, sul collo e poi lei si gira tra le mie braccia, lasciandosi lavare i capelli e posando il viso sul mio petto.

TI HO CERCATA TRA LE STELLE (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora