9. L'incubo peggiore

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Xavier


Quando rientrai, il silenzio regnava sovrano come sempre, a parte lo scoppiettio del fuoco all'interno del camino. Era giunto il nuovo anno da due giorni e ora si poteva respirare nuovamente quel silenzio tipico di tutti i giorni, lontano da botti e fuochi d'artificio. Avevo dolori dappertutto, ma riuscivo comunque a reggermi in piedi.

La piccoletta dormiva, così pensai di andare prima in bagno e poi in cucina, per sistemare a modo mio quel disastro che avevo in viso. Mi guardai nello specchio, in particolare osservai il livido violaceo intorno all'occhio sinistro, il labbro spaccato e sanguinante. Non ci erano andati leggeri, ma non ero messo poi così male.

Non andavo fiero di ciò che avevo fatto, ma se dovevo scegliere tra la mia vita e la vita di chi non voleva cambiare, avrei scelto sempre me stesso. Tiziano sapeva bene ciò che Steve mi aveva fatto ma in fondo era come lui, mentre Josh era un immigrato che era stato accolto dal bastardo nella tenera età. Per lui Steve era come un dio sceso dall'olimpo per salvare un clandestino come lui.

Lavai le mani, pulendo le nocche sporche con l'acqua gelida e strinsi i denti per il dolore.

Non ero più abituato a fare a botte, in carcere me ne stavo buono, sperando in una riduzione di pena che non arrivava mai. Per questo ero fuggito, perché non ne potevo più di stare rinchiuso ingiustamente. Quel bastardo mi aveva rovinato la vita, ma ora non l'avrebbe passata liscia, non più.

Pensavo alla prossima mossa da fare e ai miei passi falsi da non fare.

Pensavo a come liberarmi di lui, prenderlo mentre era da solo, non circondato dai suoi scagnozzi che a malapena sapevano guidare.

Osservai la fiamma del camino zampillare mentre distruggeva la carta di alcuni libri intravisti sulla libreria affianco all'armadio. La piccoletta sapeva come mantenersi al caldo quando la legna mancava e non sapeva dove fosse. Portai il bicchiere di amaro alle labbra, bevendone un sorso, per poi posarlo sullo zigomo gonfio, ai lati del viso. La sensazione di freddo mi allievò il bruciore, facendomi sentire subito meglio. Ero rimasto così, con i vestiti sporchi di sangue, le nocche che non smettevano di sanguinare e un labbro che implorava di essere medicato.

Non volevo però svegliare la piccoletta, solo per cambiarmi d'abito.

Rimasi così a lungo... perso tra le fiamme del camino e tra i bicchieri di troppo che scendevano come acqua fresca lungo la gola.

Un urlo però mi mise in allerta: era Sofia. Lasciai il bicchiere sul tavolo e mi precipitai in camera, aprendo la porta rapidamente.

La trovai in mezzo al letto, mentre si dimenava in preda ad un incubo. Gridava, si agitava, completamente zuppa di sudore, fin quando non strinse le coperte sotto di sé e inarcò la schiena, accolta da un tremolio improvviso.

"Cocò... Cocò svegliati" la chiamai, sedendomi al suo fianco.

La richiamai più volte, finché non aprì gli occhi di scatto e, vedendomi, si allontanò.

"Lasciami! N-non toccarmi!" gridò.

Alzai le mani, in segno di resa, per farle capire che non ero un pericolo per lei.

La luce della luna illuminava il viso più magro del solito, i capelli lunghi, color cioccolato, erano appiccicati sulla fronte, mentre aveva una t-shirt diversa dall'ultima volta che l'avevo vista. Aveva sicuramente fatto una doccia e rovistato nell'armadio, approfittandone della mia assenza.

Goccioline di sudore imperlavano la sua fronte e il collo, si morse le labbra, stringendo le ginocchia al petto.

"Hai avuto un incubo, io non sono tornato da molto... ti ho sentita gridare e..."

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