27. Bete

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Xavier


In tutta la mia esistenza non avevo mai idealizzato su quanto potesse essere bello legarsi a qualcuno.

Non avevo mai immaginato un altro me diverso da quello che realmente ero. Avevo ventotto anni, ma quanti me ne ero realmente goduti a pieno? Cinque? Forse nemmeno.

Già da bambino la mia vita era stata un tormento, genitori disfunzionali, la malattia di papà, la depressione di mia madre.

Un'adolescenza passata al fianco di Steve, la perdita di mio padre e a diciotto anni quella di mio fratello. Il carcere, i giorni passati a fare a botte con gli altri per guadagnarmi un po' di rispetto, le notti insonni.

La pena che non veniva ridotta, il piano, la fuga.

L'incidente con lei... Cocò.

"Bentornata nel mondo dei vivi"

"Chi sei? Cosa mi è successo?"

La sua voce graffiante, vittima di un incidente, il volto squarciato dalle schegge di vetro, la caviglia gonfia e dolorante mi ritornarono in mente, quasi come un sogno, un sogno così bello da sembrare reale. La sua voce melodiosa rimbombò ovattata come se lei fosse ancora lì, pronta a sorridermi.

La melodia si trasformò ben presto in urlo, un urlo preoccupato, mentre sentivo dei passi farsi sempre più veloci.

"Xavier! Cazzo, amico, svegliati! Ti prego!" mi sentii scuotere e fu in quel momento che i miei occhi decisero di aprirsi.

"D-Davil..."

"Sono io, ora ti slego"

Sentii la corda sciogliersi dapprima sui miei polsi e dopo sulle caviglie.

"L'hanno presa... D-Davil. L'hanno presa..." biascicai senza forze, assetato e con le braccia doloranti.

"Lo so, l'ho intuito. Vieni"

"D-Dobbiamo trovarla, non c'è tempo" continuai imperterrito, senza pensare a come stessi.

Lei era la mia priorità, rischiavo di impazzire.

Davil mi sollevò e mi fece sdraiare sul sofà difronte al camino. Si affrettò a prendermi dell'acqua che prontamente afferrai, ingurgitando tutto il contenuto della bottiglia.

Mi sentii subito meglio. Ignorai il mal di testa, la sensazione di sbandamento e mi portai una mano dietro la nuca che mi faceva male da morire.

"Quel figlio di puttana... me l'ha portata via. Dobbiamo andare da Borghi, immediatamente. Come cazzo hai fatto a..." mi alzai in piedi e sostenendomi al bracciolo e allo schienale, raggirai il divano, portando la mano davanti al viso, frustrato.

Una rabbia incontrollata mi partì da sotto la punta delle scarpe e arrivò violenta al cervello, facendo annebbiare la vista. Scaraventai le sedie per terra, ruppi qualsiasi cosa avevo davanti, urlando come un fottuto gorilla. Sbattei i pugni sul muro, ma quando feci per colpire la testa, come ero solito fare, Davil mi fermò.

Mi prese per il bavero della t-shirt e mi fece sbattere con le spalle al muro, sollevandomi di poco.

"Devi calmarti" disse, seguito da una bestemmia.

"Devi calmarti altrimenti col cazzo che la ritroveremo. Vuoi mandare tutto all'aria? Eh, coglione!" urlò a pochi centimetri dal mio viso.

"Mollami!"

Mi guardò un'ultima volta con sguardo truce e respiro affannato, prima di lasciarmi tutto ad un tratto. Si allontanò da me e si poggiò al muro opposto alla parete dove io ero, sconvolto.

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