26. Poi il buio

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Xavier


"Beh allora alla prossima, sta attento mi raccomando"

Mi affacciai al finestrino abbassato dal lato del conducente, una volta sceso dall'auto di Davil, che mi salutò.

"Sta attento soprattutto tu, testina"

Sorrisi di sghembo e mi allontanai di poco, osservando la sua auto sfrecciare e perdersi dietro l'angolo della strada. Gettai il mozzicone quasi finito per terra e dopo averlo calpestato con la suola degli anfibi estrassi le chiavi di casa dal giubbino.

Entrai nel condominio, percorsi le scale ma quando arrivai davanti al portoncino del nostro appartamento lo trovai socchiuso.

Scattai in allerta toccando istintivamente la tasca dei pantaloni dove avevo un coltellino a chiusura, che portavo sempre con me. Lo estrassi rapidamente.

Spinsi la porta e la socchiusi alle mie spalle, stando attento a non sbattere i piedi per terra. Camminai a passo felpato, con il coltellino davanti a me. Non era da lei non chiudersi a chiave, non era da lei uscire fuori quando io non c'ero. Qualcosa non quadrava.

L'ansia prese a scorrermi nelle vene, facendomi ingoiare fiotti di saliva inesistente, avevo la bocca asciutta, mentre il cuore prese a scalpitare nel petto violentemente. Avevo paura, una tremenda paura, mai provata in vita mia. Una paura peggiore di aver visto mio fratello ormai morto per terra.

Le luci erano spente, la casa estremamente silenziosa... sperai stesse dormendo, come sempre, avvolta nelle coperte, profumata e tremendamente bella.

Trovai il letto sfatto, le coperte per terra, così come i cuscini. Le piume sparse per terra mi fecero pensare che lì dentro era avvenuto qualcosa. Iniziai a respirare affannosamente, ma dovetti impormi di rimanere calmo, per non avere un attacco di panico.

Sperai fosse in bagno, intenta a farsi una doccia, nuda e sudata a causa di un incubo, mentre l'acqua le scorreva addosso, lambendo le sue curve.

Ma neanche qui trovai la sua ombra. Al contrario della camera da letto era tutto perfettamente in ordine.

Quando andai in cucina il camino era spento, regnava il buio. Allungai la mano per accendere la luce, non l'avessi mai fatto.

Sgranai gli occhi davanti alla figura di Sofia, legata mani e piedi ad una sedia con un canovaccio da cucina che le stringeva le labbra. Indossava solo un paio dei miei boxer, in viso un'espressione impaurita, i capelli scompigliati e vari lividi sulle guance. Lacrime rigavano le sue guance rosse, mentre si dimenava, forse tentando di coprire la sua nudità.

Gridò, gridò più volte, mugugnando a causa del bavaglio, forse volendo il mio aiuto.

In realtà scoprii solo dopo mi stesse avvisando di qualcosa, o meglio di qualcuno.

"Sofia!" urlai.

Ma appena feci un passo avanti per raggiungerla, un forte colpo dietro alla nuca mi fece perdere i sensi e caddi a terra, inerme.

Sentii solo le grida ovattate, una voce maschile, prima di svenire completamente.


3 ore dopo

"Ancora niente... ho cercato di far parlare la ragazza ma niente da fare. Le ho tirato un ceffone ed è svenuta anche lei"

Una voce arrivò ovattata alle mie orecchie e fu in quel momento che iniziai a riprendere conoscenza. Mossi le palpebre convulsamente, cercando di combattere la luce della stanza che alla mia cornea risultava molto più forte di quanto in realtà fosse.

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