12. Nel mio inferno personale

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Sofia


Avevo rischiato la morte svariate volte, eppure ero ancora lì. La visione ancestrale del tunnel nero era durata ben poco; una voce lontana e molto ovattata arrivò alle mie orecchie ma non riuscii a capir molto. Tra le svariate parole percepivo il mio nome ripetuto più volte sulla bocca di chi stava cercando di svegliarmi.

Sentivo la gola secca e l'aria entrante raschiava contro le pareti della trachea, procurandomi bruciore. La testa era pesante, come se fosse sproporzionata rispetto al mio corpo. Mi faceva male tutto, come se un gigante mi avesse schiacciato con facilità sotto la suola degli scarponi. 

Quando mossi le palpebre, feci fatica. I tremolii prima di riuscire ad aprire gli occhi erano incontrollati, poiché non avevo abbastanza forza. La visione che si presentò davanti a me fu inaspettata in realtà, ma mi permise di ricordare immediatamente quello che era successo. Mi schiarii la gola, iniziando a prendere conoscenza. Tossii più volte, incanalando aria e facendomi male al tempo stesso. Il miele era sicuramente la cura necessaria a quel disastro.

Girai il capo, immersa tra le coperte, con il viso posato sul cuscino morbido di quella camera che ormai era diventata casa mia.

"Sofia..."

Eccolo, il diavolo che mi perseguitava.

La mia rovina, la mia salvezza.

L'uomo che mi aveva ridotta così per colpa... mia. Me l'ero cercata... ma ero orgogliosa di me stessa e di quello che avevo fatto.

Il ciuffo scompigliato, vittima delle dita in movimento, gli ricadeva sulla fronte, donandogli un'aria più sbarazzina del solito. Le iridi glaciali, grandi, mi puntavano da lontano, mentre la luce della lampada sul comodino rischiarava i suoi tratti taglienti.

Feci per alzarmi a sedere, ma puntualmente, come ogni cazzo di volta, i muscoli mi abbandonavano, rifiutandosi di collaborare.

"No... non sforzarti, stenditi" si precipitò al mio fianco, spingendomi dolcemente per farmi accomodare. Cercai di incatenare il mio sguardo al suo ma non riuscii. I sensi di colpa lo attanagliavano, riuscii a capirlo dal suo modo di fare premuroso, dagli occhi bassi, dal tono di voce con cui mi parlava.

"Hai bisogno di acqua?" annuii con la testa.

Afferrai il bicchiere che mi stava porgendo e ingurgitai poco. La freschezza del liquido allietò l'esofago e mi sentii meglio. Posai nuovamente la testa sul cuscino, apprezzandone la morbidezza, mentre mi coprii maggiormente con le coperte. Potevo vedere le sue spalle grandi incurvarsi in avanti, seduto poco lontano da me. Il cappuccio della felpa lasciò scoperta la nuca quando portò le mani sul viso e i gomiti puntellati sulle ginocchia flesse.

Il respiro divenne più rapido, percepii dei suoni che sembravano singhiozzi e per un attimo credetti stesse piangendo.

"Xavier..."

Si girò quasi subito, preoccupato da una mia possibile richiesta. Ed eccoli lì, gli occhi che aspettavo di rivedere.

"Non preoccuparti, sto bene"

"Non... io..." cercò le parole giuste.

La mia man afferrò la sua e la strinse, come per dargli conforto.

"Grazie" affermai gracchiando.

Allargò le pupille e le sue labbra si schiusero, complici di una reazione di stupore.

"Ti ho quasi... uccisa" sussurrò, stupito dal mio ringraziamento.

Sorrisi lievemente, accarezzando la pelle morbida della sua mano, le cicatrici dure sulle nocche ancora in guarigione. Il livido sotto l'occhio era quasi andato via, ma i contorni giallognoli si notavano bene.

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