10. Quella non ero io

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Sofia


Ero intenta a medicarlo, seduta a cavalcioni sul suo ventre, con tra le mani un batuffolo di cotone imbevuto di alcol. Guardava il soffitto, mentre la luce della lampada illuminava il suo viso.

"Tu non dovresti..."

Tamponai la ferita sul labbro e non capii cosa volesse dire. Poco dopo i suoi occhi incontrarono i miei, mi scrutò dentro per capire come fossi fatta. In realtà non c'era niente da capire.

"Dovresti starmi lontano, Cocò"

Il batuffolo rimase a mezz'aria e con esso anche i miei pensieri. Analizzai la situazione: ero in braccio al mio rapitore, gli stavo medicando le ferite e avevo cercato di ucciderlo pochi minuti prima. Lo sognavo di notte, mentre mi torturava e poi lo sognavo mentre ci facevo l'amore.

Cosa mi passava per la testa?

Non mi riconoscevo. Quella non ero io. La vera me avrebbe rifiutato qualsiasi contatto con lui, avrebbe avuto paura... e invece mi ritrovavo in una situazione strana e nuova, di cui non sapevo reggerne le redini.

Abbassai lo sguardo, pensando che probabilmente ero già impazzita e non me ne stavo rendendo conto. Forse lui mi faceva male... intendo la sua vicinanza, il suo modo di essere.

Ero sempre io? O era una parte di me che neanche conoscevo, quella che mi spingeva a scoprire di più su di lui. Forse cercavo di salvarlo, ma la Sofia che conoscevo non era mai stata una crocerossina con nessun uomo maledetto. Non cercavo di trasformare le persone e non credevo alla teoria che qualcuno potesse essere salvato. O meglio, uno poteva migliorare ciò che era, ma solo se lui stesso lo voleva.

Le tecniche di seduzione, i tranelli d'amore per farlo cadere ai miei piedi erano cose che non mi appartenevano. E allora perché mi avvicinavo a lui? Perché lo guardavo con occhi diversi da quelli con cui dovevo vederlo? Perché lo trovavo attraente, nonostante il male che mi stava facendo?

"Io... ci provo continuamente, a starti lontano, ma fallisco ogni volta" risposi, più a me stessa che a lui.

Posò una mano sulla mia guancia e quasi mi lasciai coccolare da quel tocco, posando maggiormente il viso sul suo palmo. Sentii la ruvidità della sua pelle, causata probabilmente dal fatto che aveva fatto a botte con qualcuno.

Chiusi gli occhi per un breve lasso di tempo, poi gli riaprii, incontrando nuovamente i suoi. Aveva un'espressione seria in viso, come se non si aspettasse da me un gesto simile.

"Devi riuscirci. Promettimelo..."

"Dammi un solo motivo..."

Si mise a sedere e io scivolai maggiormente sul suo bacino. Eravamo molto più vicini quando con una mano accompagnò il mio fianco, mentre l'altra continuava ad accarezzare il mio viso, fino a raggiungere il collo.

"Sono una persona poco raccomandabile..." sussurrò, osservando le mie labbra famelico.

A quel punto una serie di domande si fecero largo nella mia mente... ma mi limitai solo a chiederne una.

"Perché sei evaso?"

Stranamente rispose.

"Ho commesso tanti reati, ma il motivo principale per cui mi avevano rinchiuso ha un nome e cognome"

"Hai ucciso qualcuno?" mi venne spontaneo.

"Non ho mai ucciso nessuno, ma ho fatto qualsiasi cosa tu possa immaginare. Ma dubito tu possa anche lontanamente pensare a certe cose. Non capiresti" provò a dire dolcemente, ma io non mi arresi. Volevo andare più in fondo, scoprire di più.

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