23. Uno sbirro diverso

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Xavier

La restante parte del viaggio la passammo in totale silenzio e dopo venti minuti di strada, arrivammo davanti a un vecchio palazzo degli anni cinquanta, in stile barocco, dotato di vecchie finestrate e un portone alto in legno.

Sembrava quasi uno di quei casali antichi, ma quella in realtà non era altro che la centrale di polizia del quartiere in cui eravamo. Stranamente, sebbene distasse solo pochi minuti dalla periferia di Milano, e fosse anche nel centro di quel piccolo paesino, a quell'ora non c'era anima viva.

I bar della piazzetta di fronte avevano chiuso e i lampioni erano mezzi spenti, forse per risparmiare corrente elettrica.

"Su avanti, scendiamo" mi spronò Davil, vedendo che non avevo ancora aperto bocca.

Dopo aver chiuso l'auto, il mio amico suonò al citofono e una guardia ci aprì. Per un attimo mi destabilizzai... io gli sbirri gli odiavo, ero un evaso e tutta quella situazione era assurda e ambigua.

Il ragazzo, poco più giovane di me, vestito in borghese con solo il distintivo penzolante sul taschino della camicia, si spostò leggermente per farci entrare.

"Il commissario Borghi vi aspetta al primo piano, venite, vi accompagno"

Mattia Borghi, a quanto mi diceva Davil, era un uomo piuttosto giovane, più grande di me ma più piccolo di Davil. Era uno che ci sapeva fare nel suo lavoro e lottava disperatamente per prendere possesso della questura di Milano, dove avrebbe potuto esercitare la sua professione con molta più dedizione. Non che quel paesino avesse nulla in contrario, ma anche gli sbirri avevano un sogno: più grande era la città, maggiori erano le probabilità di diventare una persona importante.

Quello in fondo valeva per tutti i lavori, sbirro inclusi.

"Davil... credevo non arrivaste più. Sei sempre il solito"

Un uomo dagli occhi vispi, piuttosto alto, ci accolse nello studio, con fare ironico.

"Non è colpa mia questa volta. Ma del mio caro Xavier..."

"Piacere" allungai la mano, stringendo quella del detective.

"Perdonate il luogo, ma nel mio ufficio privato sto facendo alcuni lavori... si risolverà a breve. Questo è il mio lavoro principale, come ben sapete. Prego, accomodatevi"

Estrasse un pacchetto di sigarette dal giubbotto in pelle e ne portò una alle labbra, dopo essersi seduto sulla poltrona dietro la scrivania. Lo studio in cui eravamo era un classico studio di una centrale di polizia, forse un po' più antiquato del solito... ma c'era da aspettarselo, dato lo stabile.

"Allora, Xavier, giusto? Davil mi ha parlato di te e di cosa ti è successo... sappi che se deciderai di farti aiutare, noi non avremo rancori o odio represso nei tuoi confronti. Sono un poliziotto ma mi distinguo da coloro che trattano un carcerato come se fosse feccia. L'unica cosa che ci separa dall'essere uguali è solo una professione, niente di più. Quindi sentiti libero di essere te stesso"

Le parole di Borghi mi colpirono e non poco. In tutti quegli anni avevo avuto a che fare con sbirri infami e che prediligevano l'abuso di potere su quelli come me. Lui invece mi sembrava diverso e sentivo di potermi fidare.

"Non so quanto Davil ti abbia raccontato, ma tra tutti i reati che ho commesso c'è uno da cui mi distacco completamente... si tratta dell'omicidio di mio fratello Francis. So chi è stato, l'ho visto con i miei occhi ed è la stessa persona che mi ha mandato in cella al posto suo"

Mattia mi guardò negli occhi. Nei suoi tratti spigolosi lessi curiosità. Probabilmente era la prima volta in cui si trovava in quella situazione.

Uno sbirro che aiutava un evaso dal carcere contro un mafioso del cazzo.

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