5. Questione di nomi

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Sofia

Allungò nuovamente le braccia per afferrarmi, ma mi ritrassi nuovamente, plasmando la mia schiena contro il legno della porta.

"Non farmi arrabbiare, Cocò" tuonò. Tuttavia nella sua voce riuscii a scorgere un velo di pietà e di compassione.

Tremai... per la paura, per i brividi causati dalla febbre, per la situazione in cui mi trovavo. I miei occhi erano ad un passo dal chiudersi, la gola bruciava per quanto avevo urlato, sentivo il viso bruciare e non ebbi più la forza per ribattere.

La vergogna si impossessò di me quando cinse la mia vita e mi obbligò a stringere le cosce attorno al suo bacino. In quel modo rischiava di sporcarsi anche lui; stanca di tutto posai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, avvertendo il suo profumo.

Tutto quello che mi venne in mente fu proibito. Le note di sandalo, tabacco e patchouli si mescolavano assieme, impregnandosi sul cappuccio della felpa nera che indossava.

Osservai il suo profilo definito: la mascella rigida, con un lieve accenno di barba, terminava spigolosa sull'orecchio, sul quale vi era un piercing ad anello nero. Da sotto la felpa, in direzione della nuca, spuntava l'inizio di un tatuaggio, sicuramente grande.

Mi risvegliai quando aprì la porta del bagno e mi posò affianco al lavello, sul marmo freddo.

Rimasi ferma lì dov'ero, la testa mi scoppiava e a stenti capivo cosa stava facendo. Ritornò da me con un nuovo cambio, credo sempre roba di sua proprietà.

"Non agitarti, ti cambierò solamente" affermò, privo di emozioni.

"P-posso fare da sola" balbettai afona.

"Ti sei vista? Non riesci neanche a tenere gli occhi aperti, Cocò"

Non ribattei più, anzi, rimasi in silenzio tutto il tempo, a lasciare che lui facesse di me ciò che voleva.

Slacciò la stringa dei pantaloncini e li lasciò cadere fino alle caviglie, per poi gettarli via. Avevo le gambe piene di lividi, mentre gli slip che indossavo erano completamente bagnati per essermela fatta addosso.

"E' meglio fare una doccia..." sgranai gli occhi, in preda al panico.

"N-no, io sto bene c-così" lo dissi frettolosamente, cercando di impormi "o almeno p-posso fare da sola" negoziai.

Sospirò, poi si convinse.

"Sono qui fuori, non farti venire strane idee" lo sguardo glaciale scomparve dietro la porta e mi fiondai nella vasca, assicurandomi ripetutamente che non entrasse.

Non sembrava essere un maniaco pervertito. Mi avvolsi nella prima asciugamano che capitava e asciugai distrattamente anche i capelli.

Zoppicai fino a raggiungere la t-shirt di sua proprietà che a me calzava come un vestito.

Cercai di lasciare come avevo trovato, per non scatenare quell'ira che mi aveva vista ad un passo dalla morte. Abbassai la maniglia e mi affacciai fuori dal bagno. Era poggiato davanti alla porta, con le spalle al muro e le braccia incrociate, lo sguardo indifferente e quasi incazzato che mi faceva sentire costantemente sbagliata.

Tirai i lembi della maglia fino alle ginocchia, sotto il suo sguardo penetrante. Ingoiai a vuoto, volendo sprofondare in chissà quale abisso.

Mi indicò di andare in camera e mi sostenni al muro, sforzando maggiormente il piede sano. Dovetti fermarmi dopo pochi passi, per il dolore insopportabile che mi faceva quasi piangere.

Una nullità, ecco come mi sentivo.

Non solo ero stata umiliata in quel modo, ma odiavo mostrarmi debole, come lo ero in quel momento. Abbassai lo sguardo sulla caviglia e percepii i suoi occhi sulla mia figura.

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