Sofia
Il calendario da scrivania, posizionato sopra il comodino a pochi metri da dove ero, segnava esattamente due settimane di permanenza in quell'inferno.
Temevo che Xavier non sarebbe più venuto a prendermi, temevo lo avessero rinchiuso in cella nuovamente, temevo di non rivederlo più.
Mi avevano accudito come un cucciolo smarrito, chiamandomi signora, come se avessi cinquant'anni e una famiglia alle spalle. In realtà ero solo una ragazza finita nelle mani sbagliate.
Mi avevano lavata, pettinata, truccata, agghindata come un fottuto albero di natale. Avevo fatto ferro e fuoco per non indossare i vestiti che lui comprava.
Avevo subito le sue percosse, ricordando e capendo cosa Rachel provasse in determinati momenti. I suoi pugni sul viso venivano poi coperti con abbondante fondotinta e cipria.
Mi guardavo allo specchio della console, di quella che era ormai diventata la mia camera. Ero cresciuta in pochi giorni, sembravo una trentenne in carriera, una donna d'affari.
L'eyeliner scuro mi donava uno sguardo magnetico e felino, facendo risaltare le mie iridi color cioccolato. Le lentiggini spuntate con l'arrivo del sole caldo erano ancora più evidenti a causa del rossetto rosso sangue che dipingeva le mie labbra.
I miei lunghi capelli erano stati dipinti di castano scuro, tendente al nero, per far risaltare la mia provenienza estremamente mediterranea. Il tubino aderente bianco candido risaltava le mie curve, esponendomi troppo alla vista di persone che non meritavano di vedermi.
I sandali alti dorati richiamavano i gioielli di famiglia. Grossi orecchini in oro facevano capolino tra i capelli cotonati. Le collane, gli anelli e i bracciali mi facevano così divenire Vostra signoria.
Trasudavo bellezza da tutti i pori e se non fosse stato per le circostanze avrei detto anche io che ero veramente una bomba.
Quello che ero diventata però non era stato frutto del mio volere, ma dell'imposizione di Steve, e io, pur di non rimanere stramazzata al suolo per tre giorni consecutivi come era successo, avevo deciso di stare al suo gioco. Rispettandolo avrei guadagnato rispetto. D'altronde la mafia agiva in quel modo.
Il bussare alla porta mi fece distrarre dai miei pensieri e con un leggero -avanti-, permisi all'ospite di entrare in camera.
Mi lisciai nervosa il vestito, sentendomi a disagio sotto il suo sguardo glaciale.
"Il bianco ti dona"
Non era il bianco a donarmi ma ciò che si intravedeva alla luce del sole che entrava dalle finestre, quasi sul punto di tramontare. Avevo cambiato tutto di me... perfino il coordinato intimo che non aveva le fragoline. Era un intimo che io definivo filo interdentale.
"Ti ringrazio" affermai fredda, distogliendo lo sguardo dal suo, attraverso lo specchio.
Si avvicinò, afferrando la mia vita da dietro e postando i capelli su di una spalla.
"Vedi come tutto diventa più semplice quando obbedisci, tesoro?"
Il tono smielato in cui lo disse mi fece quasi vomitare. Era orrendo sentire il suo tocco tramite il tessuto del vestito. Sentire il suo fiato sul collo, mischiato all'odore pungente e maschile della colonia che aveva spruzzata addosso.
"Magari al ritorno dalla festa potremo... stare insieme"
E io sapevo a cosa sarei andata incontro prima o poi. Solo... cosa avrei fatto?
Un'idea mi balenò in mente: i mafiosi erano estremamente devoti, rispettavano la chiesa e le sue tradizioni, quindi...
"Steve..." sussurrai maliziosa e stronza "dobbiamo aspettare il matrimonio... è la tradizione"
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More and over
RomanceIl serpente, l'inganno. Le manette, la costrizione. Il passato che perseguita, manipola il presente. Ma niente può ostacolare lo schiudere del primo uovo di una farfalla che si presta a volare, pronta ad essere seguita dalle sue simili, nel gergo co...