34. Boss girl

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!!!contenuti sensibili!!!


Sofia


Non avevo mai pensato di sposarmi.

Insomma... non ero una da matrimonio, avevo passato la mia intera adolescenza a disegnare. Talvolta leggevo o scrivevo certo, ma il disegno e in particolar modo gli schizzi a matita erano necessari per me. Tramite la grafite che scorreva sul foglio sfogavo tutto ciò che tenevo dentro, qualsiasi emozione. A volte non sapevo neanche cosa disegnare, ma a lavoro finito, il mio cervello sembrava riaccendersi, facendomi intuite tramite la carta qual era la mia stessa emozione.

I miei erano ritratti, ritratti di persone inesistenti, donne, uomini e bambini resi personificazione delle mie emozioni.

Non toccavo matita da tanto. Da quando ero con Xavier.

Era passato tempo dall'ultima volta che lo avevo visto, legato a quella sedia, incazzato come una bestia per cercare di farmi rimanere sveglia, reduce di una violenza inaudita.

Lo avevo visto piangere per me e non avrei mai creduto che il nostro legame giungesse a tanto. Sapevamo entrambi che ciò che c'era tra di noi era sbagliato, malato, irrazionale. Mi aveva rapita, tenuta in ostaggio, lontano dai miei affetti, dalla mia famiglia che non rivedevo da oltre sei mesi.

Nonostante tutto mi ero innamorata di lui.

Lo avevo capito forse troppo tardi, non l'avevo dimostrato come avrei dovuto.

E ora ero qui, a migliaia di chilometri dall'Italia, in un paese che non conoscevo. Io, un uccellino in gabbia, lontano da tutto e da tutti, lontano dalle mie passioni, da ciò che realmente ero.

La me adolescente immaginava di laurearsi in Storia dell'Arte e chissà, fare l'insegnate nei licei, nelle università, o semplicemente aprire una piccola boutique.

Nel migliore dei casi avrei voluto essere una critica, un po' come il mitico Sgarbi, senza la sua passione per le capre.

Ora però ero esattamente l'antipodo di tutto quello che avrei voluto essere.

Il rossetto eccessivamente rosso era un pugno nell'occhio rispetto a quel bianco candido e immacolato che avvolgeva il mio corpo da testa a piedi.

Una tiara diamantata, posata sui capelli acconciati, reggeva il velo finemente decorato che cadeva fino a terra e proseguiva per molti metri. Faceva invidia ai capelli di Rapunzel.

Un vestito aderente, a sirena, fasciava il mio corpo, mostrando le poche curve rimaste.

Dieci erano i chili che avevo perso in quel periodo. Mi piacevo? Avrei potuto rispondere di sì, ero bellissima, magra, in forma... sessanta chili di bellezza.

Ma non potevo rispondere di sì. Perché tutto quello mi portava inevitabilmente a pensare a ciò che lui era abituato a toccare, a sfiorare.

Non potevo fare a meno di ricordare come i suoi occhi si posavano sulle mie gambe morbide, su come lambiva ogni parte prosperosa del mio corpo tra le sue labbra, di come era soddisfatto di fare l'amore con una donna come me, poiché poteva riempirmi di succhiotti ovunque, data la presenza di quella carne che io avevo odiato troppo a lungo.

Adesso volevo tutto quello, volevo essere di nuovo me stessa, nei miei settanta chili di dolcezza, benessere... io mi sentivo bene. Non era rimasto niente di tutto quello e potevo notarlo dal seno che riempiva a stento le coppe dell'abito, la pancetta inesistente, il sedere meno gonfio del solito. Ora mi ritrovavo a rimpiangere quello che prima consideravo un difetto.

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