38. L'unica colpa

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!linguaggio esplicito!


Mattia


Ero sempre stato un tipo mattiniero ma quella mattina mi ero addormentato dopo il suono della sveglia, accadeva raramente, quasi mai.

Per fortuna fosse il mio giorno libero e che come impegno avessi solo quello di portare la ragazza dai suoi amici.

Scostai le coperte distratto, guardando l'orologio digitale che segnava le nove meno un quarto. Mi alzai svogliatamente ma non mi resi conto di un piccolo particolare. I boxer.

Che cazzo... mi ero addormentato senza pulirmi.

Andai subito a fare una doccia e indossai una t-shirt nera e dei jeans comodi. Ovviamente giravo per casa mia scalzo, odiavo usare le scarpe.

Indossai il mio smartwatch e mi diressi fuori dalla stanza.

Notai la camera degli ospiti aperta e il letto perfettamente rifatto, come se non avesse dormito nessuno. Un odore di dolci invase il corridoio e mi guardai attorno stranito. Io non cucinavo quasi mai, ero negato. Quell'odore mi riportò indietro nel tempo e sembrò quasi un sogno quando immaginai una risata lontana di un bambino, seguita da una che conoscevo benissimo.

Ciò che trovai in cucina però non fu un caschetto scuro con avvinghiato alle gambe mio figlio che aspettava la colazione, ma una chioma bionda disordinata che faceva capolino ad un corpo snello e formoso racchiuso in una maglia bianca e degli shorts di jeans più corti di quel che immaginavo.

Rachel se ne stava di spalle, intenta a muovere le fruste del frullatore delicatamente, a mischiare chissà cosa in quella ciotola di cui non sapevo l'esistenza.
Aspettai fermasse le fruste.

"Potrei quasi abituarmi" affermai, incrociando le braccia al petto.

Lei sussultò per lo spavento e si voltò verso di me, permettendomi di guardarla negli occhi.

"Oh cazzo" sbottò e colpì con il gomito il frullatore che schizzò un po' di composto sul suo viso.

Mi trattenni dal ridere.

"Io... io ho pensato che fosse una cosa carina preparare la colazione. So che non ci conosciamo ma mi hai ospitata e mi sentivo in debito" disse tutto ad un fiato, cercando di pulire il viso dalla crema.

"Lo apprezzo, manca molto?" indicai l'intruglio nella ciotola, avvicinandomi a lei. Guardai meglio e notai la miriade di ingredienti che non sapevo di avere in quella casa. Insomma, pranzavo sempre fuori... sperai solo non fosse roba scaduta.

"No! Intendo dire... devo solo infornare" si stritolò le mani, a disagio.

"Bene ti lascio fare... io sono in camera. Quando è pronto puoi chiamarmi" le dissi. Notai come il suo sguardo si posò sulle mie braccia scoperte. Analizzò la mia figura quasi imbambolata mentre si mordeva il labbro inferiore pensierosa.

Così, capendo l'oggetto dei suoi pensieri, mi avvicinai a lei con fare un po' spavaldo. Mi piaceva essere quel che ero. Il mio corpo era frutto dei drammi, della vita che avevo dovuto affrontare, dei sacrifici, dei limiti. Sfogavo la mia rabbia nello sport, nei pesi e nelle partite di tennis.

"Dovresti stare attenta però a non sporcare... non sono uno che ama lo sporco" raccolsi un po' di crema dal suo naso e la portai alle sue labbra tingendole di poco. Lei mi guardò dal basso, con due occhi grandi quasi quanto una casa e un'espressione smarrita in viso. Riuscii quasi a sentire il suo respiro farsi più pesante, scontrarsi sul mio petto ad un ritmo lento e deciso, come se si stesse controllando.

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