36. Ma quale idea

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!!!contenuti sensibili!!!


Xavier


Non era servito a niente.

Non era servito ad andare in Spagna, a stanare l'hacker e a costringerlo a confessare. Lui non poteva sapere più niente.

Mi sentivo impotente, costretto a rimanere indietro anni luce, mentre quel bastardo chissà cosa la stava obbligando a fare. E se fosse morta? Mi ripetevo, continuamente.

Quel coglione aveva cambiato cellulare, numero di telefono, distrutto tutte le mail che possedeva, ridotto a brandelli la sua identità. Nemmeno il suo stesso hacker sapeva dove fosse, così dopo un mese di torture e persecuzione Davil lo ha ucciso.

Non era normale farlo ma andava fatto. Non mi fidavo di quello spagnolo, nessuno poteva garantire la riservatezza di quel piano. Eliminarlo era stata la cosa più giusta.

Avevamo passato in rassegna tutti i rifugi di Steve e, nella rabbia di non trovarlo mai più, stavo man mano cancellando il suo schifoso operato, mettendo bombe qua e là e sterminando i suoi collaboratori. Volevo fare casino, volevo fargli capire che lo stavo cercando e forse l'unico modo per farlo venire da me era mettere un po' di chaos nel suo marchingegno perfetto.

La polizia aveva sequestrato armi, auto, droga. Mattia aveva perfino chiuso alcuni pub intestati a lui e alla sua famiglia del cazzo, stoppato alcuni appalti e fermato lavori in corso per la costruzione di discoteche, club, centri commerciali che lui stesso aveva finanziato, con soldi sporchi.

Chiamasi riciclaggio di denaro, uno dei must have per essere mafioso... segnatelo sulle note del cell.

La bestia che era in me era diventata un demone, era andata oltre la soglia già da tempo e solo quando Davil mi guardava con occhi supplichevoli capivo che avevo oltrepassato il limite.

E quel limite comprendeva un bel po' di sangue per terra. Puntualmente mi facevo perdonare dicendo -suvvia saranno solo un paio di litri- quando in realtà le mie vittime erano sul punto di morte, o addirittura passate all'aldilà.

Mi cibavo delle loro urla e di notte sparpagliavo la coca nel mare, come ceneri di un morto.

Ero un animale, fiero di ciò che stavo facendo, di giorno.

I cuscini non erano miei amici; solo Davil sapeva come mi sentivo veramente, poiché mi aveva ospitato a casa sua. Non me la sentivo di tornare in quell'appartamento che non era neanche mio. Avevo lasciato tutto come stava e lo avevo messo a fuoco, cospargendolo di benzina.

In quelle fiamme avevo visto il suo volto, il suo corpo, i suoi occhi dolci contornati dalla montatura grande e squadrata che mi faceva venire il cazzo duro solo a pensarci.

Sebbene la stanza degli ospiti di Davil non fosse la camera in cui io e la piccoletta dormivamo, mi risvegliavo urlando, in preda ad un attacco di panico scaturito dagli incubi. Incubi in cui lei era morta, in cui lei gridava e mi supplicava di aiutarla e io non potevo farlo.

Mi svegliavo prendendo aria, convincendomi che lei stesse bene, ma non potevo realmente saperlo.

Per questo il mio subconscio, come Freud sosteneva, mi induceva a fare sogni inerenti a ciò che realmente vivevo o avevo anche solo visto.

Le paure si ripercuotevano sul mio benessere fisico, facendomi alzare rincoglionito, incazzato o non facendomi dormire proprio. Non facevo neanche allenamento, mangiavo a stenti e mi ero dato all'alcol come non facevo da tempo.

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