SARAH
«Questo caldo mi innervosisce», sbuffo strizzando gli occhi verso la mia migliore amica. La mora risponde al mio sguardo stringendosi nelle spalle con fare annoiato, come suo solito. È sempre stato così, fin da bambine: io mi lamento e Letizia mi ignora. «Pensi sia normale?» continuo imperterrita. Niente potrebbe fermare il mio flusso di pensieri. Non mi piace stare in silenzio. Mai. «No, te lo dico io, non è normale. Siamo quasi a ottobre e fa più caldo che ad agosto. Stiamo implodendo, ti rendi conto?»
«Da quando ti interessa il cambiamento climatico?» chiede Letizia chiudendo lo zaino e tirando fuori dalla tasca dei jeans l'iqos grigia. La guardo schifata, pensando a quella puzza nauseabonda che presto mi circonderà. Siamo così diverse, io e Leti. Io, una scricciolina di un metro e cinquanta, con poche forme e capelli di un dolce e luminosissimo biondo caldo, piena di lentiggini che odio e una parlantina da far invidia a un politico. Simpatica, a detta di tutti, energica, caciarona, istintiva e tanto, forse troppo, altruista. Si può essere troppo altruisti?
Letizia è il mio esatto opposto: molto più alta di me, con cortissimi capelli a cui cambia colore con cadenza mensile – al momento sono neri corvini - e lineamenti marcati. Taciturna, riflessiva, pragmatica. Non parla mai, soprattutto a sproposito, e spesso risolve i problemi creati da me. Siamo due pezzi dello stesso puzzle, ci completiamo da quando siamo piccole, ci aiutiamo, ci supportiamo, ci difendiamo a spada tratta e ci proteggiamo dal mondo. Siamo sorelle per scelta. Noi, che di sorelle e fratelli veri non ne abbiamo, ci siamo incontrate il primo giorno di scuola materna e non ci siamo mai mollate, costringendo anche i nostri genitori a fare amicizia, in qualche modo.
«Sto con un ingegnere ambientale, ora», rispondo secca, cominciando a fantasticare su Simone, il mio primo e nuovo ragazzo.
«Non è un ingegnere, sta ancora studiando» precisa Letizia, che non vede di buon occhio la mia nuova relazione. A lei, Simone non è mai andato a genio, da quella primissima, magica, notte.
Simone è grande, troppo grande per una alla prima esperienza. Ventitré anni, ha già vissuto tante vite rispetto a me. Ha avuto decine di ragazze, è uno a cui piace piacere, farsi notare. Ed è uno che viene notato. Troppo. Tutto ciò secondo la mia amica, sia chiaro.
Stiamo insieme da pochi mesi; da inizio giugno, per la precisione, e io sono perdutamente innamorata di questo moderno principe azzurro. Perché sì, Simone sembra davvero un principe azzurro. Ci siamo conosciuti a Fregene, alla festa di inizio estate. Noi ragazze avevamo architettato un piano rocambolesco e a prova di bomba per riuscire a partecipare a quell'evento super esclusivo organizzato in spiaggia da tutte le università romane. Ci eravamo accordate con due ragazzi dell'ultimo anno, che ci avevano promesso un passaggio per l'andata e, soprattutto, per il ritorno. Peccato che i due ragazzi fossero spariti a metà serata per rincorrere due turiste tedesche. All'inizio non ci eravamo preoccupate affatto. Ci fidavamo di quei ragazzi, erano nostri amici e conoscevano bene la situazione. Credevamo sarebbero tornati. Ma le ore avanzavano e di quei due nemmeno l'ombra.
Alle quattro e trenta del mattino, Letizia era buttata su un marciapiede, scalza e in preda a una crisi isterica al pensiero di quello che avrebbero fatto i genitori. Io, che non mi butto mai giù, al contrario stavo cercando di risolvere quell'incubo. È lì che l'ho visto la prima volta. Simone era ancora in spiaggia, scalzo, che rideva alla battuta del suo migliore amico Joseph, come avrei scoperto poco dopo. Ricordo di essere rimasta imbambolata, non riuscivo a distogliere lo sguardo e ce la feci solo quando lui mi salutò e io mi voltai, imbarazzata. Troppo tardi. Pochi minuti dopo Joseph e Simone mi avevano raggiunta e ci avevano offerto un passaggio. Ed era cominciata la magia.
Sono così innamorata di questo ragazzo apparentemente perfetto. Simone mi ascolta, mi fa sentire unica, non mi opprime. Sa di avere a che fare con una diciassettenne alla prima esperienza e non mi mette alcuna fretta. Abbiamo passato insieme un'estate da sogno, nonostante gli avvertimenti di Letizia. Per lei, iniziare una storia a giugno con un ventitreenne arrapato era pura follia. "I ragazzi d'estate vogliono divertirsi" continuava a ripetermi. Non le ho mai dato ascolto, comunque. Perché Simone è davvero perfetto, non mi tradirebbe, non mi deluderebbe. E infatti i mesi mi hanno dato ragione, perché ormai l'estate è finita, e siamo più uniti che mai.
«Questi sono dettagli, sta per laurearsi» ribatto sicura, inforcando gli occhiali da sole e cominciando a scrutare tra la folla in cerca del mio lui. Come ogni giorno da inizio anno, infatti, Simone dovrebbe essere qui, fuori la mia scuola ad aspettarmi per riportarmi a casa. Il tempo per vederci non è molto tra scuola, università e impegni vari; in più, l'estate è finita e non posso più uscire ogni sera, per cui proviamo a sfruttare ogni minuto.
«C'è Joseph» esclama Letizia. Ridacchio, un po' divertita dall'agitazione nella voce della mia amica. Un'agitazione nuova. Letizia è sempre stata una ragazza calma, pragmatica, non l'ho mai vista innervosirsi per un ragazzo. Per Joseph, poi... bello è bello, certo, ma è così strano. Così difficile da decifrare.
Joseph, il migliore amico di Simone, muove un braccio per farsi vedere e noi, in fretta, lo raggiungiamo.
«Dov'è Simo?» chiedo preoccupata. Lui mi guarda divertito e io sbuffo sonoramente. Ancora mi vede come una bambina. Una stupida ragazzina immatura. Mi sento perennemente giudicata da lui che, nonostante i mesi passati, non ha mai fatto nulla per farmi credere il contrario.
«Aveva da fare in uni, ti porto io a casa» taglia corto il ragazzo, salendo in auto. Saluto in fretta Letizia e noto in lei uno sguardo infuocato. Gelosia? Probabile. Ma può stare tranquilla. Insomma, è il migliore amico (fidanzato!) del mio ragazzo, di che si preoccupa? La freddezza con cui ricambia il mio saluto, però, mi inquieta e mi innervosisce. Salgo in macchina e incrocio le braccia al petto, sbuffando sonoramente.
«Che succede?» chiede il ragazzo, mettendo in moto. Butto un'ultima occhiata verso la mia amica e sbuffo ancora. «È gelosa?» azzarda. Strabuzzo gli occhi.
«Te lo ha detto Simone?» quasi urlo, innescando nel guidatore una sonora risata. Una delle sue solite risate, tanto rumorose ma che non coinvolgono mai gli occhi. Vorrei davvero sapere qualche cosa in più su Joseph, ma nessuno sembra volermi raccontare nulla.
«Me lo stai dicendo tu, adesso. E, comunque, non sono nato ieri, a differenza tua» risponde tagliente, quasi sbeffeggiandomi.
«Non cominciare» borbotto.
«Dai» mugugna, colpendomi dolcemente sul braccio sinistro, «lo sai che scherzo» aggiunge, fermandosi al semaforo. In attesa del verde si volta a guardarmi e diventa improvvisamente serio. «Sei molto più matura di Simone», continua. Rimango spiazzata. Non è uno da opinioni, le tiene per sé, e non si è mai sbilanciato sul mio rapporto col suo migliore amico. Perché farlo ora? Che vuole dire?
«Che intendi?» chiedo, un po' confusa e molto sorpresa. Lui alza le spalle, tornando a concentrarsi sulla strada.
«Nulla... conosci Simo» si limita a dire.
Già... lo conosco davvero? Dopo pochi mesi? Io ne sono certa. Ma, come spesso mi ripete Letizia, sono anche un'ingenua inguaribile romantica. Per anni ho sognato un amore travolgente, un po' tormentato, con qualche lacrima, romantiche dichiarazioni d'amore e quel lieto fine che ho sempre visto nei miei film preferiti. E ora ho deciso di dare tutto il mio cuore a un ragazzo che, in fondo, non conosco per niente.
Scuoto il capo. Joseph è enigmatico per natura, e io non mi farò influenzare da opinioni che non comprendo. Quella frase può non voler dire nulla, e non monterò un caso su una frase buttata per sbaglio.
«Vuoi salire?» chiedo più per cortesia che per reale interesse, quando parcheggia davanti al portone del mio palazzo.
«Non voglio disturbare» si tira subito indietro lui. Alzo le spalle.
«Non c'è nessuno, mia madre lavora tutto il giorno» spiego. Sento i suoi occhi puntati addosso e mi maledico per quella richiesta. Perché l'ho invitato? Joseph non mi piace molto. Non abbiamo mai parlato più di tanto e con lui mi sento in soggezione. Ma non amo stare sola, soprattutto a pranzo. Pranzo sola da che ho memoria e, anche da piccolina, tornavo da scuola col pulmino giallo e trovavo ad aspettarmi un piatto di pasta freddo che mia madre aveva preparato la mattina.
Da quando sto con Simo, ogni giorno gli chiedo di fermarsi per pranzo. Purtroppo anche lui, come mia madre, è sempre troppo impegnato per dedicarmi quella mezz'ora di tempo che serve a pranzare.«Beh... se mi fai un piatto di pasta, accetto volentieri» azzarda. Sul mio volto si apre un sorriso spontaneo. Vorrei abbracciarlo, ma mi limito ad annuire e fargli strada.
Ed eccoci qua col primo capitolo, che, più che altro, è una presentazione. Andando avanti entreranno in scena altri personaggi, con le loro storie, i loro drammi, i loro caratteri. Spero di farveli amare come li amo io.
Buona lettura!