SARAH
Quando arrivo a casa, con le gambe indolenzite dopo ore di camminata senza meta, trovo Joseph seduto sulle scalette davanti al mio portone. Una sigaretta accesa tra le labbra e lo sguardo perso nel vuoto. Mi fermo un po' a osservarlo, per catturare quell'immagine come fosse una fotografia nella mia mente e, prima che mi veda, una foto col mio cellulare gliela scatto davvero. Percepisco il nervosismo da come gioca con la zip della felpa grigia che indossa. È particolarmente pallido, con due occhiaie pronunciate che si notano anche a distanza.
In questo momento vorrei abbracciarlo. Non so nemmeno io il perché, forse non c'è davvero un perché. So solo che mi è bastato vederlo per calmarmi, per tornare ad avere un respiro regolare, per far sparire quel groppo in gola che non mi abbandonava da ore.
Mi scopro a sorridere involontariamente, davanti alla sua immagine. Lo osservo e mi sento in pace con me stessa e col mondo. Non esiste più Simone o la sua stupida amica dell'università; non esiste più Letizia; non esistono più le cattiverie che mi ha vomitato addosso o la sua folle gelosia. Vedo lui e il mio mondo torna ad avere una quadra.
Improvvisamente sposta lo sguardo, notandomi. Mi sorride appena, alzando un po' l'angolo destro della bocca, ed io ricambio subito, avvicinandomi.
«Non pensavo di trovarti qui» ammetto, sedendomi accanto a lui, attenta a non sfiorarlo.
«Ci ho pensato un po', in realtà. E quando sono arrivato, mi sono seduto qua e ho pensato ancora. Non sapevo se suonare o meno, alla fine non l'ho fatto»
«Ma sei rimasto...» Lui sorride appena, tirando l'ultima boccata a una sigaretta ormai finita. Estrae dalla tasca una scatolina di metallo e la spegne lì dentro. Non l'ho mai visto buttare un mozzicone a terra, nemmeno quando sa di non essere visto da nessuno. Ha sempre dietro quel posacenere portatile che custodisce come un gioiello. «Anche mia nonna ne aveva uno» sussurro, indicando la tasca.
«È comodo quando in strada non ci sono secchi» spiega. «E poi è un oggetto a cui sono legato» aggiunge, senza scendere nei particolari. Mi fermo a guardare le punte delle mie sneakers, aspettando che dica qualcosa. Perché è qui, per esempio.
«Hai mangiato?» chiedo dopo qualche minuto di silenzio.
«No, in realtà»
«Ero passata in libreria» confesso. Lui si stropiccia gli occhi. Una nota di stanchezza evidente gli segna il volto.
«Lo so, me lo ha detto Zazi»
«Sei venuto per questo?» indago, quasi risentita.
«Ero già qui!» Sospiro sollevata, facendolo sorridere appena. «Mi dispiace essere andato via in quel modo, ma ero incazzato. Troppo. E quando sono così incazzato, a volte straparlo». Annuisco. Vorrei chiedergli il perché della lite, ma la risposta mi spaventa. Inoltre, già prima mi ha detto di chiedere a Simone, e l'ho fatto. Ho chiesto al mio ragazzo e devo farmi andare bene quella risposta, nonostante sia stata superficiale e non mi sia affatto piaciuta.
«Pensi che io sia una che si attacca ai ragazzi?» Sgrana gli occhi e mi fissa confuso.
«Che vuoi dire?» Mando giù a vuoto, per rimandare indietro qualche lacrima già pronta, e distolgo lo sguardo. So che se lo guardassi piangerei, e sono stanca di piangere.
«Letizia mi ha detto delle cose» borbotto. Ripensare alle parole della mia migliore amica mi fa male. Ripeterle mi dilania il cuore. Eppure sfogarmi mi sta aiutando a elaborarle. Sfogarmi con lui, che mi ascolta attento e silenzioso, mi fa sentire importante e capita.
«Io credo che Letizia sia gelosa di te» afferma sicuro.
«Siamo amiche dall'asilo» quasi lo ammonisco.
«Ti sei chiesta come mai, da quando stai con Simone, non è mai riuscita a supportarti? Ha sempre avuto da ridire, dall'inizio... eppure giudicare qualcuno dopo averlo visto due volte è abbastanza superficiale, non credi?»
«Ma gelosa di cosa?» Si stringe nelle spalle.
«Questo non lo so... ma il suo non è certamente un comportamento da amica»
«Anche tu e Simo avete dei problemi» dico stizzita.
«Come tutti... ma non mi sognerei mai di dirgli quello che lei ha detto a te, soprattutto visto che non è vero»
«Ah no?»
«No, Sa', per niente... e giocare sulle tue insicurezze è meschino. Da quando ti conosco non ti ho mai vista attaccarti a qualcuno per avere conferme»
«Stiamo legando»
«Appunto: stiamo legando. Non ti stai attaccando come una cozza. Abbiamo delle cose in comune, e forse è proprio questo a innervosirla tanto. Ma, scusa se te lo dico, Letizia è una persona vuota, superficiale. Finge cinismo, finge razionalità, finge disinteresse. Pensa di essere superiore a chiunque, di essere tanto matura, di essere sarcastica e pungente, e invece è solo una bimbetta viziata, altezzosa ed egocentrica. Forse è lei quella che non sa gestire le amicizie»
«Non la conosci»
«Già...» sussurra, accendendo un'altra sigaretta. Fa i primi due tiri, sbuffa fuori il fumo che un po' mi circonda e continua: «Non la conosco, come non conoscevo te, eppure quando quel giorno ti ho descritta, mi sembra di averci preso»
«In modo inquietante» ammetto, ridacchiando.
«Sai perché? Perché parlo poco, sto sulle mie, sembro indifferente, ma osservo tutto. Ascolto ciò che dice chi mi circonda, guardo i gesti che fa, studio le espressioni. Mi piace il linguaggio non verbale, perché dice più di quello verbale. Con le parole si mente, ma il volto della gente non mente mai, se sai analizzarlo. Gli sguardi, gli ammiccamenti, i toni, come le persone si grattano il viso, come si toccano le orecchie, come si sfregano le mani o si sistemano i capelli...»
«E cosa ti dice il linguaggio non verbale di Leti?» chiedo, quasi impaurita dalla risposta.
«Che vederti fidanzata la terrorizza. Prima eravate solo voi due. Con altra gente intorno, ovviamente, ma voi due. Poi è arrivato Simone, che è schizzato in vetta nella tua piramide delle priorità, come è giusto che sia, e lei si è vista spodestata. Sperava di trovare in me un appiglio: fidanzata col migliore amico del ragazzo della sua migliore amica, perfetto! Ma io non l'ho mai notata in quel senso e lei si è incaponita. Si è fissata, ma in realtà non le piaccio. Voleva solo vincere. E quando ha cominciato a vedere che davo attenzioni a te è impazzita, dandoti colpe che non hai» spiega.
«Pensa che il problema tra te e lei sia io, non mette nemmeno in conto la presenza di Sofia»
«Sofia non c'entra nulla, perché non è una presenza fissa. Nella mia vita non la vede, perché spesso non c'è. Il nostro rapporto, al contrario, lo vede e lo percepisce. Come vede il tuo rapporto con Simone»
«Dovrei scusarmi?» Strabuzza gli occhi, esterrefatto.
«Cosa? Perché?»
«Potrebbe essersi sentita messa da parte»
«Sare', senti... vi ho viste insieme, vi ho viste in gruppo... non sei tu a metterla da parte. Anche sabato, pur di darti fastidio si è attaccata a Sofia... non è sano, non è maturo un comportamento simile»
«A volte mi fai paura» sussurro. Lui ride divertito e mi cinge le spalle con un braccio, avvicinandomi a sé. Mi faccio cullare un po'. Agognavo questo contatto da quando l'ho visto.
«Paura di che?»
«Sei bravo a leggere le persone, a volte mi sento indifesa... però mi piace anche, perché mi sento capita... vorrei imparare, comunque»
«Posso insegnarti»
Sorrido e ricambio la stretta, cingendogli i fianchi e infilando una mano, un po' infreddolita, nella tasca calda del suo felpone.
«Non credo di essere portata»
«Allora ti aprirò io gli occhi, quando servirà»
«Sempre? Promesso?»
«Sempre. Promesso» risponde sicuro, prima di lasciarmi un bacio prolungato tra i capelli.