JOSEPH
«Quindi è per questo che sei strana da giorni?» chiedo, dopo essere scampato a uno svenimento e a un attacco di panico. Lei annuisce e prende qualcosa dallo zaino. Un test di gravidanza.
«L'ho comprato prima di venire da te, per farlo insieme» spiega e io mi maledico. Avrei dovuto ascoltarla, far parlare prima lei, non insultarla e non mettere in dubbio le sue parole.
Avrei dovuto anche evitare di credere a Simone, seppure per un solo momento. Avrei dovuto evitare tante cose, forse, ma rimuginarci adesso non aiuta nessuno.
«Perché non me l'hai detto subito?»
«Perché speravo mi tornasse semplicemente il ciclo... ma ormai ho un ritardo di dieci giorni... non so che cazzo fare» e in un attimo scoppia a piangere. Un pianto travolgente, rumoroso, pieno di singhiozzi.
Cerco un po' d'acqua e, non trovandola, vado in cucina. Prendo una bottiglia e gliela porto subito. Lei beve a piccoli sorsi, provando a calmarsi.
Io non so che fare. Come al solito, non so che dire. Non ho mai pensato a un figlio. Non ho mai fantasticato su me genitore, su un bambino da crescere. Eppure, se ci rifletto, è una prospettiva che non mi fa paura. In fondo, credo di volerlo un figlio, prima o poi.
Ma adesso? Sarah all'ultimo anno di liceo, io alle prese con gli ultimi esami della triennale. Senza un lavoro, senza soldi, senza una casa. I suoi ce l'hanno fatto, ma noi? Ne saremmo in grado?
«Ora calmati» azzardo, «devi respirare o ti sentirai male»
«Mi sto già sentendo male» urla. «Sto male da giorni. Anzi, sai cosa, la tua cazzata con Simone mi ha distolto da questo pensiero atroce. Mia madre mi uccide»
«Non penso sia nelle condizioni per farlo, voglio dire...» provo a sdrammatizzare.
«Appunto, Jo, appunto! Non hai idea di cosa voglia dire crescere con una donna rimasta incinta a quindici anni. È tipo la Hitler del sesso»
«Non esagererei»
«Non esagero» urla ancora. «Secondo te perché avevo così paura? Perché mi ha sempre detto che mi sarei rovinata la vita»
«Lei non mi sembra si sia rovinata poi tanto la vita» borbotto, infastidito dalle parole di Monica. Perché terrorizzarla così? Quasi a farla sentire in colpa...
«Che facciamo?» Sprofonda su di me, che la accolgo e provo a farla sentire meglio.
«Quello che vuoi. Io sono qui per te» dico convinto. E lo sono davvero. Perché sì, sono terrorizzato, ma anche stranamente eccitato. Euforico, forse.
«Non so che fare»
«Io direi di fare il test, prima di tutto. Poi, col test in mano, vediamo. Io sono qua, in qualsiasi caso. Sono pronto a sostenerti se vorrai tenerlo, sono pronto ad accompagnarti ad abortire. Sono pronto a darlo in adozione. Sono pronto a tutto. È una decisione tua... il corpo è il tuo»
«È una decisione nostra» rettifica. Sorrido e la bacio dolcemente.
«Sì, se vuoi sì, è una decisione nostra»
«Dovremmo scegliere insieme» afferma, alzandosi e prendendomi per mano. Sembra si stia calmando. Andiamo in bagno, apriamo la scatola e leggiamo attentamente le istruzioni del test.
«Forse è il caso di farla in un bicchiere» azzardo e la vedo annuire. Prendo in cucina un bicchiere di plastica e glielo porgo. «Vuoi che esca?»
«No, ti prego. Se non ti fa schifo, rimani»