JOSEPH
«Ti vedo... rilassato»
Sorrido ad Azzurra, che mi porge l'accendino e fa un primo tiro di sigaretta mentre io accendo la mia. Siamo sul balconcino di casa, per una sbrigativa pausa sigaretta prima del dolce, di cui si è occupata Alice. La cena sta andando meravigliosamente bene. Adele ha trovato subito affinità con i genitori di Sarah, e ha passato la serata a raccontare aneddoti divertenti su di me.
Non credevo ce ne fossero tanti, eppure lei mi ha sempre osservato, come fossi davvero un figlio. Ricorda di quando, per prendere una farfalla, mi sono slogato una caviglia a dodici anni. Ricorda del mazzolino di fiori che le ho regalato per un compleanno, deturpando il giardino dei vicini. Ricorda i miei silenzi, e come riusciva a farmi sorridere con un dolcetto appena sfornato.
Ho accennato anche all'incontro con i miei, a inizio cena. Monica e Vittorio sapevano dei nostri impegni pomeridiani, e non parlarne sarebbe stato come custodire il segreto di Pulcinella. In due parole, ho raccontato i fatti e ho chiuso lì, e tutti sono stati comprensivi e per nulla invadenti.
«Trovi?» chiedo, riponendo l'accendino in tasca.
«Sì... raramente ti ho visto così» ammette.
«Lo so, è vero... forse per la prima volta mi sento in pace con me stesso. Ci ho messo una vita a fare i conti col passato e, riflettendoci, credo avrei dovuto farlo prima»
«Credo di no... affrettare le cose non è mai buono. Non l'hai fatto perché spinto da Sarah o dalla tua psicologa, nonostante sembri così. Eri pronto tu, a farlo. Hai deciso tu»
«Forse sì... ho capito, comunque, che non si scappa. Da niente. E ho anche capito di non volerli intorno. Sono felice che stiano bene, che siano puliti. Lavorano, a quanto pare... ma non posso ignorare tutti i problemi che mi hanno causato. Sono così anche per colpa loro»
«Ma non li avevi perdonati?» ridacchia.
«L'ho fatto, giuro. Ma perdonare non significa necessariamente dimenticare. Mi sono serviti ventiquattro anni e una psicologa, per imparare a parlare e a raccontare i miei sentimenti. E non credo di saperlo fare ancora bene»
«Ci vuole tempo anche per quello»
«Già...» Faccio l'ultimo tiro e spengo la sigaretta nell'enorme posacenere all'angolo del terrazzo, comprato da Alice in un mercatino dell'usato qualche anno fa. «Grazie, comunque»
«Per cosa?» Alzo le spalle, con fare ovvio.
«Per tutto... non te l'ho mai detto, ma meriti più di un grazie, in realtà»
«Sei mio fratello, Jo. Non di sangue, ma che cambia? Io non ti voglio bene per Alice. Penso saresti entrato nella mia vita a prescindere, in qualche modo». Le sorrido e la stringo un po'. Non siamo due molto espansivi, io e lei. In questo siamo fastidiosamente simili e forse non è un caso che io sia il migliore amico di Alice, e lei la donna che ama.
Ci siamo sempre capiti con uno sguardo, io e Azzurra. È stato strano, all'inizio. Loro due si conoscevano, ed io e Zazi eravamo già così affini, da far innervosire Alice, che voleva per sé il suo migliore amico. Non ci ha messo molto, comunque, ad accettare la cosa e, a distanza di anni, mi ha restituito il favore con gli interessi, diventando amica, complice e alleata di Sarah. Siamo un bel quartetto, ben equilibrato.
«Buttate queste sigarette, è pronto il dolce» ci minaccia Sarah. Vittorio scuote il capo, quasi mortificato immaginando il futuro che mi aspetta. Io, al contrario, rido di gusto, perché il futuro che vedo per me è roseo, appagante, felice e pieno di amore.
Mi guardo intorno, vedo la famiglia che ho creato, che mi sono scelto, e il cuore mi scoppia di gioia. Tocco con mano il bene che mi circonda e lo percepisco, concreto e reale, e la voglia di fuggire dalle persone non c'è più.
Ritorno al mio posto, accanto a Sarah, e, prima di sedermi, le lascio un bacio al volo dietro il collo che la fa rabbrividire. Poi mi accomodo, mentre Alice passa a tutti un piattino con dentro qualcosa di cui va molto fiera. Osservo il dolce e non capisco il suo orgoglio.
«Sai cosa sembra?» dico, muovendo un po' quell'ammasso informe con il cucchiaino.
«Se devi dire una cattiveria ti prego, taci» mi ferma subito lei.
«La linea tra verità e cattiveria è molto sottile, lo sai» ribatto.
«Prima di parlare, assaggia» mi minaccia con un dito, facendo ridere l'intero tavolo. Girando lo sguardo intorno, mi accorgo dello scetticismo di tutti. Nessuno dice nulla, comunque, e il primo a rischiare la vita e le papille gustative è Vittorio. Lo fa con calma, con gli occhi socchiusi e un movimento lento ed estenuante.
«È ottimo!» sentenzia e quasi non ci credo. Lo imito e, con mio grande disappunto, devo concordare.
«Allora? Cosa sembrava?» chiede Alice, vittoriosa.
«L'emoji della cacca, in effetti... ma il sapore è ottimo» dico tranquillo.
«Sei proprio uno stronzo» ridacchia lei mentre tutti la ricoprono di complimenti.
Finita la cena, ci buttiamo su qualche ammazzacaffè, tra una chiacchiera e l'altra a pancia piena. È tardi, quando Adele si congeda e, poco dopo, la imitano anche Monica e Vittorio.
«Tu che fai, Sarah? Dormi qui?» La mia ragazza si alza controvoglia.
«No... domani ho il compito, da qui arrivare a scuola è un delirio e farei tardi» risponde sconfortata. Ci stiamo abituando a dormire insieme. Non pensiamo seriamente alla convivenza, a lasciare questa casa per prenderne una nostra. È davvero troppo presto. Ma dormire insieme ci tranquillizza.
«Io domani pomeriggio non lavoro» le dico, abbracciandola. «Finisco il turno alle due e mezza quindi, quando esci da scuola puoi venire qui e studiamo insieme». Annuisce e mi trascina un po' lontano dagli altri, per salutarmi senza occhi addosso.