Capitolo 38

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JOSEPH

«Si può sapere che diavolo è successo ieri sera?» Alice si butta di peso sul mio letto, senza nemmeno controllare se fossi sveglio. Ero già sveglio, ma mugugno infastidito per fargliela pesare. Lei, di tutta risposta, si rimette in piedi e alza la tapparella, facendo entrare la luce pallida del sole di dicembre.

«Ali che cazzo vuoi? Sto dormendo» mi lamento.

«Non mi importa» sentenzia, ricascando sul materasso e sul mio polpaccio con poca grazia. Sbuffo sonoramente e apro gli occhi, incenerendola col mio sguardo truce. Lei non si fa intimorire comunque. «Sei rientrato come una furia, hai sbattuto la porta e ti sei chiuso in camera. Allora?»

«Allora niente». Prendo il cellulare e tutto tace. Non una chiamata o un messaggio da Sarah. Non che me li aspettassi, comunque. Ha ragione lei, e lo so. Non sulla discussione, non sui miei genitori, ma sono andato via come un treno, senza spiegazioni, senza una parola. L'ho lasciata sul ciglio della strada.

«Impossibile» riprende Alice. Stamattina ha deciso di torturarmi e il silenzio che proviene dal resto della casa mi suggerisce l'assenza di Azzurra. Come un flash confuso, ricordo qualcosa in merito a un compleanno di famiglia fuori città, forse qualche zia umbra o cose così. Un evento che Alice ha gentilmente declinato mettendo in mezzo lo studio e il lavoro.

«Non hai niente da fare?»

«No. Zazi è partita all'alba, sono tutta tua» esclama trionfante.

«Sì, senti... devo fare una chiamata. Sparisci»

«Inutile che ci provi, non mi scappi» mi minaccia ancora mentre io già faccio partire la telefonata e le indico l'uscita. Lei mi asseconda, col solito ghigno che usa quando vuole intimorirmi. Spesso ci riesce, in effetti.

Sarah risponde dopo due squilli e la sua voce mogia mi rattrista, facendomi sentire ancora più in colpa.

«Mi dispiace» sussurro. «Non volevo andare via così, sono un coglione»

«Hai proprio ragione, sei un coglione» risponde atona.

«Lo so, Sa'. È che non sono bravo»

«Ma a fare cosa, Jo? A parlare?» chiede piccata.

«Sì», ammetto, «a parlare. Non ho mai dovuto farlo in vita mia»

«Sai cosa?» mi blocca, «non è così. Sei circondato da persone accomodanti che ti hanno viziato per una vita. Ti culli sul fatto di non saper esprimere te stesso ma la verità è che non ti sei mai impegnato, perché nessuno l'ha mai preteso. Adele, Alice, Azzurra, perfino Simone, che a parlare è peggio di te, si sono fatti andare bene questa tua versione silenziosa, misteriosa, per non turbarti forse, non lo so... beh, io non sono così. Non sarò tra quelli che ti rovinano perché non ti piace aprire bocca» quasi mi sgrida. Abbasso il capo, anche se non può vedermi, e annuisco tra me e me. Ha ragione.

«Ti chiedo scusa, davvero»

«E io accetto le scuse» risponde, addolcendosi.

«Ma...?»

«Ma cosa?»

«La tua frase finisce con un "ma" non detto... dillo» la sprono.

«D'accordo, tanto, ho fatto trenta, facciamo trentuno. Non devi chiuderti. Non lasciare il mondo fuori, lascia vivere le emozioni. Sono i tuoi genitori, Jo»

«Ancora, Sarah? Non mi interessa, ero serio ieri sera. Se vuoi parlare dei miei sentimenti, non mettere in mezzo loro, non c'entrano un cazzo»

«Come puoi dirlo se appena li nomino scatti? Ti irrigidisci, ti arrabbi e ti chiudi ancora»

«Ma perché ti interessa tanto? Sono i miei genitori ma sembra interessi più a te che a me di loro»

«A me interessa di te, coglione! Non sei questa persona, non sei così freddo, così cinico»

«Su alcuni argomenti sì. Sono freddo, cinico e disinteressato. Vedi di superarla» e senza aspettare altre risposte, chiudo la chiamata e libero un grido che avevo in gola da un po'. Alice, senza nemmeno fingere di non essere stata tutta la conversazione dietro la porta, ripiomba in stanza guardandomi con gli occhi semichiusi.

«Sei un coglione»

«Vuole dirmelo qualcun altro?»

«Lo sei, perché non dirtelo? Ha ragione lei» sospiro maledicendo me stesso per scegliere sempre il vivavoce.

«Sai, esiste una cosetta chiamata privacy. Dovresti provare». Mi alzo dal letto e la lascio nella mia stanza, andando verso la cucina. Mi serve un caffè. Doppio.

Lei, che non demorde mai nella vita, mi segue passo, passo, senza quasi lasciarmi spazio vitale.

«Oh, ti prego. In questa casa non esiste privacy, e lo sai. E poi, sei tipo mio fratello, non posso lasciare che ti fotti la vita perché sei un cazzone orgoglioso»

«Ali, smettila, veramente. Non mi va»

«Già... come sempre. Ma Sarah ha ragione, ti abbiamo viziato una vita. Ora basta» mi guarda dritto negli occhi e quasi mi sento in soggezione per la potenza di quello sguardo.

«Dopo vado da lei per chiarire»

«Non lasciarla fuori dalla tua vita»

«Non voglio farlo»

«Anche quella parte è la tua vita, e lei ti ama, vuole solo aiutarti»

«Non me l'ha ancora detto» ammetto, abbassando il capo, mentre un groppo in gola mi incrina la voce. Non ha mai risposto a un mio "ti amo", e questa cosa mi innervosisce. Mi confonde. Mi turba. Non so che pensare. Perché a Simone lo diceva continuamente, a me non riesce a dire nemmeno un "ti voglio bene".

«Cristo! Sei davvero un idiota» sentenzia la mia migliore amica. La guardo male. «Ti servono due paroline per capirlo? Non basta quello che dice e fa ogni giorno? Te lo sta urlando da settimane, quanto ti ama. Te lo urlava anche quando stava ancora con Simone. Come fai a non arrivarci? È impaurita. Pensava di amare Simone, e questa cosa con te l'ha travolta in modo inaspettato. Ma ti ama. E se a frenarti è solo questa paura, allora sei davvero un idiota». Dice l'ultima frase con una dolcezza quasi materna, mentre mi scompiglia un po' i capelli e mi sorride dolcemente. Annuisco, la abbraccio forte e vado a vestirmi.

***

«La prossima volta che mi chiudi il telefono in faccia non scomodarti a venire qui» mi accoglie una Sarah furente, con le braccia conserte e gli occhi rossi di rabbia.

«Lo so, hai ragione» ammetto entrando in casa col capo cosparso di cenere.

«E smettila di darmi ragione. Anche stamattina mi davi ragione e guarda com'è finita» si lamenta.

«Sono venuto per chiarire. Per chiederti scusa e per dirti, guardandoti negli occhi, che sì, hai ragione. Non sui miei» metto subito le mani avanti. «Vorrei non toccare più quell'argomento. Almeno per adesso. Magari avrai ragione anche su quello, non so dirtelo. Ma domani prendo appuntamento da uno psicologo e vediamo se c'è davvero qualche trauma da affrontare». Ci ho pensato in auto, mentre guidavo tra le strade silenziose della domenica romana. Io sono convinto delle mie posizioni, so come funziona la mia mente. Ma non sono un professionista e, anche in quel caso, non avrei potuto analizzare me stesso. E non voglio lasciare Sarah fuori dalla mia vita. Lei mi vede da una prospettiva tutta sua. Lei tiene a me, quindi perché non ascoltarla?

«Davvero?» chiede, iniziando a sciogliersi.

«Sì, davvero. Ci vorrà tempo quindi, per favore, concedimelo» quasi la supplico. Lei si avvicina a me e, finalmente, mi abbraccia.

«Non ne parlerò più, promesso. Aspetterò i tuoi tempi» afferma sicura, sorridendomi e avvicinandosi alle mie labbra. 

Sai di nuvola // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora