JOSEPH
Entrando in questo posto, ho capito perfettamente la malinconia, il dispiacere e il senso di smarrimento di Sarah quando ha scoperto che l'avrebbero chiuso. La magia che ci ha travolti, nonostante il buio e l'abbandono, è stata come una forza sovrumana capace di lasciare fuori dal cancello ogni problema. Varcata la soglia, ho sentito nitidamente le urla gioiose dei bambini che per decenni hanno abitato qui dentro. La loro felicità pura e incontrollata, il loro entusiasmo che, inevitabilmente, vedendolo anche negli occhi brillanti di Sarah, ha contagiato pure me.
Il parco si divide in diversi spazi. Oltrepassando la porta, arrivi in un tunnel erboso, con rampicanti ai lati e gnomi sparsi qua e là. C'è anche un piccolo stagno, ormai vuoto, alla fine del percorso, che ti invita a continuare verso il primo giardinetto, quello per i più piccoli, con scivoli, altalene, castelli e casette simili a quelle della strega di Hansel e Gretel.
Oltre il giardinetto, uno spiazzo in pietra ti porta a scegliere. Puoi andare a destra, verso la sala giochi e il trenino di Biancaneve; puoi andare a sinistra, dove c'è una piccola pista di formula 1, dei gonfiabili ancora intatti e uno di quei caroselli con cavalli, carrozze e tazze girevoli. O puoi continuare dritto, arrivando ai tappeti elastici. Una recinsione di spessa rete li divide dal resto del parco. Otto tappeti, separati l'uno dall'altro da materassini in gomma piuma per evitare danni a chi salta contento.
Mi volto verso Sarah, che sembra essere tornata bambina tanto è felice. Sorrido appena, percependo ogni grammo di gioia che riesce a coinvolgere anche me. Si guarda intorno e, davanti a ogni attrazione, mi racconta qualche aneddoto di lei da piccola.
«Una volta su quel trenino ho rischiato la vita» esclama allegra, come se davvero ci fosse qualcosa di divertente in lei che, a cinque anni, col treno in corsa, scende dalla carrozza e si piazza sulle rotaie rischiando di ammazzare se stessa e la madre che, da come dice, l'ha tenuta chiusa in casa per due mesi.
Non ho tempo per rispondere perché lei, entusiasta, mi trascina verso i tappeti elastici.
«Qui sotto c'era un pavone» spiega. «Da bambina passavo ore e ore a guardarlo, era splendido. A volte ci parlavo e lui stava lì fermo, come se davvero mi ascoltasse. Una mia amichetta della materna era terrorizzata, non voleva mai saltare per paura che la beccasse» racconta mentre apre la porticina d'ingresso. Poi entra, si toglie le scarpe e comincia a saltare da un tappeto all'altro. Non l'ho mai vista così felice. «Dai, vieni anche tu» mi incita. Io sorrido divertito, stupito da quanto questa ragazzina di appena diciott'anni, che conosco da una manciata di mesi, riesca a farmi fare cose che mai avrei pensato.
Fino a quattro mesi fa, non sarei mai entrato in un parco giochi abbandonato. Non avrei passato giorni a piangere. Non avrei messo in discussione la mia amicizia con Simone o il mio rapporto con Sofia. Non avrei passato ore a parlare con qualcuno. Non avrei portato nessuno da Adele.
Sarah mi sta cambiando la vita, e questo cambiamento mi piace e mi terrorizza.
Come lei, tolgo le scarpe, buttandole sotto una panchina messa lì probabilmente per far sedere qualche genitore, e mi fiondo su un tappeto, cominciando a saltare con lei.
«È così liberatorio» urla, col fiato corto e una risata contagiosa che non l'abbandona. Rido con lei, mentre salto da un tappeto all'altro provando a fare qualche capriola. Saltiamo e saltiamo, a volte insieme, prendendoci per mano, a volte semplicemente guardandoci. Saltiamo e restiamo connessi, anche solo con lo sguardo. Siamo in sintonia, ci muoviamo in sincrono. E ridiamo. Dio quanto stiamo ridendo.
Poi la vedo partire dall'ultimo tappeto verso di me. Saltella, prendendo via via la rincorsa, fino a che non mi arriva addosso. Cadiamo insieme, lei sopra di me. La guardo negli occhi e la risata rumorosa di poco fa, si trasforma in sorrisi dolci e complici. È così bella da non sembrare reale, con quelle lentiggini impercettibili, i capelli un po' scompigliati e le gote arrossate per la fatica.