SARAH
«E quindi che ti ha detto?» Do un morso alla mela che tengo in mano da mezz'ora, rimettendo in ordine i miei pensieri prima di raccontare a Joseph della mia ultima conversazione con Simone. Sono passate due settimane da quel pomeriggio da Adele. Due settimane in cui ho visto Simone poco e niente e in cui, al contrario, si è fortificato il mio rapporto con Joseph, che ormai vedo ogni giorno. Quando non riusciamo a vederci, come oggi, ci sentiamo. Stiamo al telefono ore, a volte anche in silenzio, mentre entrambi facciamo altro. Semplicemente per farlo insieme.
Oggi non ci siamo visti perché, dopo scuola, ho costretto Simone a un confronto. Lo sentivo strano, distante, come se si fosse stancato di me. Non ne avrei fatto un dramma, non mi sarei tagliata le vene se mi avesse lasciata, e non avrei pianto nemmeno troppo, credo, ma volevo sapere. Lui è caduto dal pero quando l'ho informato dei miei timori. Mi ha detto che sono una pazza, che vedo cose che non ci sono, che è solo tanto impegnato. Poi mi ha baciata ed io mi sono sciolta. Sono ancora innamorata, voglio stare con lui. Voglio che funzioni.
«Sai che puoi lasciarlo tu, vero?» azzarda, ridendo. Ridacchio anch'io.
«Certo, ma non voglio lasciarlo. Tu vuoi che lo lasci?» indago.
«Io voglio che tu stia bene»
«E lui? Non vuoi che anche lui stia bene?»
«Lui sta già bene, tranquilla» la butta lì. Ma certo che sta bene, sembra non toccarlo mai nulla. «Comunque», riprende, «non voglio spingerti a lasciarlo, ma voglio vedere felici entrambi. Lui è il mio migliore amico, tu...» Lascia la frase in sospeso. Sistemo meglio il telefono tra la guancia e la spalla e mi guardo allo specchio, aspettando trepidante che finisca.
«Io?» lo incito.
«E tu... sei tu». Scoppio a ridere fragorosamente per quella risposta. Una risata che coinvolge anche lui.
«Ma che significa» chiedo, quasi in lacrime. Ridiamo insieme per un po', poi lo sento tornare serio, improvvisamente, e vorrei averlo davanti per vedere i suoi occhi. Lo sento deglutire e lo immagino grattarsi il mento.
«Significa che... non lo so... sei tu e basta. Mi sembra di conoscerti da sempre e vorrei vederti sorridere. Voglio vederti felice, mentre ti godi questi anni. L'adolescenza, le superiori, sono un periodo magico, non devi buttarlo via» afferma convinto. Sorrido e penso che sì, ha ragione.
«Non solo l'adolescenza, però» rettifico.
«C'è una spensieratezza diversa. O, almeno, dovrebbe esserci». La sua voce accoglie una sfumatura dura e disincantata. Ripenso alle poche informazioni che ho sulla sua infanzia e realizzo che per lui infanzia e adolescenza non abbiano avuto nulla di spensierato. Non si è più aperto con me dopo quel giorno da Adele. Non su questo, comunque. Qualche volta mi parla di Sofia, dell'università, del lavoro, ma, per lo più, ascolta me che mi lamento dei miei, di Letizia, di Simone, dell'insonnia, del ciclo, del mio imminente compleanno che non voglio assolutamente festeggiare, del traffico di Roma, degli insegnanti. Mi ascolta, mi dà consigli, mi supporta.
«Come va con Letizia?» Mentre finisce la domanda, la porta della mia stanza si apre, rivelando la mia migliore amica sulla soglia. Vederla mi lascia di stucco. Lo saluto in fretta riattaccando senza spiegazioni e la guardo perplessa.
«Tutto bene?» le chiedo. Sono quasi le undici di sera di una giornata infrasettimanale. E lei non esce mai in settimana, i suoi non glielo permettono.
Il nostro rapporto, nell'ultimo periodo, ha subito una battuta di arresto. Io passo tanto tempo con Joseph e lei non lo sa. Non so cosa mi freni, ma non riesco a dirglielo. Se ne parlassi, diventerebbe una cosa reale, non più solo nostra.
Lei, al contempo, risponde sempre meno ai miei messaggi e, anche a scuola, trova sempre qualcosa da fare per occupare la ricreazione.
«Con chi parlavi?» chiede, senza rispondere alla mia domanda.
Mi stringo nelle spalle. «Simone» dico sicura e lei, forse per finta, ci crede. «Allora?» ripeto, «che succede?»
«Nulla, i miei sono andati di corsa da nonna ché non si è sentita bene e mi hanno mollata qui. Mio fratello è fuori città» spiega, poggiando vicino la porta un borsone che non avevo notato. I genitori di Letizia sono iperprotettivi a livelli quasi patologici e, nonostante tra qualche mese anche lei raggiunga la maggiore età, ancora non la lasciano sola a casa di notte.
Le faccio spazio sul letto e, nel frattempo, scrivo al volo un messaggio a Joseph per spiegargli cosa sta succedendo dopo avergli quasi riattaccato in faccia.
«Dovremmo parlare» borbotto, bloccando il telefono e poggiandolo sul comodino.
«Ti stai allontanando» quasi mi rimprovera.
«Io? Ma se da giorni quasi non mi rispondi ai messaggi. A scuola stai sempre per fatti tuoi»
«E secondo te perché? Appena proviamo a parlare, finiamo per discutere. Sono stufa» sbotta, con la voce rotta. La osservo ed è davvero al limite. So che se non ci fosse mia madre nell'altra stanza urlerebbe.
Mi mordo l'interno del labbro inferiore cercando di fare mente locale sull'ultimo periodo. Quello che dice non è del tutto falso. Sapendo da sempre il suo pensiero su Simone, ogni suo parere l'ho preso male, mettendomi sulla difensiva e chiudendo ogni discorso con "è una tua opinione". Che è vero, sono sue opinioni quelle su Simone, ma mai prima una delle due aveva snobbato e ignorato le opinioni dell'altra.
«Io non voglio rovinare la tua storia e non voglio che tu soffra, sono felicissima di vederti felice, ma non puoi costringermi ad apprezzare una persona che non apprezzo. Ti sostengo, sto dalla tua parte, ti sto vicino, ma non avrai da me commenti positivi che non penso» spiega, più calma di qualche minuto fa.
Annuisco alle sue parole. Devo accettarlo. «E poi» continua, «quel giorno con Joseph mi ha mandata fuori di testa. Tu non lo vedi come ti guarda, come cerca i tuoi occhi, anche quando siamo insieme agli altri, anche quando c'è Sofia»
«Su questo stai delirando», la blocco. «Joseph è un amico del mio ragazzo, niente di più. Se ci vedi parlare, parliamo di libri, nient'altro» mento e mi sento una merda. Ma non riesco a dirglielo, non riesco ad essere onesta con la mia migliore amica.
Perché? A Letizia ho sempre detto tutto. Lei conosce la mia vita come fosse la sua, e io conosco la sua vita come fosse la mia. Cosa mi blocca? Sono certa che tra me e Jo sia solo amicizia. Non c'è altro da parte mia e, tantomeno, da parte sua. Eppure, quando provo a formulare una frase davanti alla mia più cara amica, le parole mi muoiono in gola.
Forse il rapporto che sta nascendo con il migliore amico del mio ragazzo non è poi così limpido, così giusto, cosi smaliziato, se non riesco a parlarne nemmeno con la persona che mi ha visto nelle condizioni peggiori senza mai giudicarmi.