Capitolo 33

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JOSEPH

Esco dall'aula dell'esonero e riprendo a respirare regolarmente. Se non mi piacesse tanto questa facoltà, se non avessi le idee chiare su ciò che voglio fare dopo, probabilmente non ci avrei nemmeno mai messo piede in un'università. La mia ansia va poco d'accordo con esoneri, esami e voti, ma questo è l'unico modo per raggiungere quell'obiettivo che mi sono prefissato da bambino, quando nessuno voleva aiutare me.

Il mio sogno non è mai stato quello di fare tanti soldi. Non mi sono mai visto in altre città, in case giganti, a guidare auto costose. Non mi sono mai visto a giocare a tennis con i colleghi, o su un campo da golf la domenica, o in uno di padel, che adesso va tanto di moda. Il mio sogno è risolvere problemi che a me nessuno ha mai risolto. O, almeno, provarci. Voglio fare l'assistente sociale, e farlo meglio di quelli che lavoravano con me, quando da bambino mi piombavano in casa, mi portavano in qualche casa famiglia per due o tre settimane e poi, noncuranti, mi riportavano dai miei genitori. Voglio fare questo mestiere per provare a non rovinare altre infanzie. Perché qui c'è tanto, troppo bisogno, di assistenti sociali; perché i bambini non sono pacchi postali; perché qualcuno, quando non c'è la famiglia, deve prendersene cura.

«Ehi, com'è andata?» Risponde al secondo squillo e subito mi riempie di domande sul compito. Ridacchio perché sembra più agitata di me.

«Considerando che l'ho preparato in quattro giorni, direi bene» ammetto e lei urla un po', ragguagliando poi la madre. Monica è una brava madre. L'ho notato subito, lo stretto rapporto tra le due. Sarah non deve nemmeno parlare, perché la madre la comprende da uno sguardo. È severa ma comprensiva; è saggia e risoluta; è allegra, logorroica e coinvolgente come la figlia. Sono cresciute insieme, e sono cresciute bene entrambe, nonostante le mille difficoltà.

«Ora vai a casa?» mi chiede, mentre mastica qualcosa che le scrocchia tra i denti.

«Che stai mangiando?»

«Il croccante per stasera! Volevo assaggiarlo prima di avvelenarti» si giustifica. Stasera c'è la famosa cena a casa sua, con i genitori. Monica non mi preoccupa. La conosco da mesi e, come Sarah sottolinea sempre, mi adora, per qualche sconosciuto motivo. Vittorio, al contrario, mi agita non poco. Non è mai facile entrare in sintonia con i padri delle ragazze con cui esci e, dai racconti di Sarah, lui sembra alquanto... protettivo. Dice che non ha ancora ben messo a fuoco la sua crescita, che pensa sia ancora la sua bambina. Insomma, tipico padre italiano.

«E che altro avete preparato?» chiedo con un po' di acquolina in bocca. L'ansia mi ha chiuso lo stomaco stamattina, tanto da non farmi pranzare né fare colazione. E ora lo sento brontolare.

«Sorpresa! Ma non ti aspettare chissà cosa perché non siamo proprio delle cuoche provette» mette subito le mani avanti mentre Monica la redarguisce.

«Comunque, sì, pensavo di andare a farmi una doccia... poi dimmi tu per che ora devo venire»

«Quando vuoi, anche subito! Così apparecchi» ridacchia.

«Ma non sono io l'ospite?»

«Nah... non ci sono ospiti in questa casa quindi muovi il culo!» quasi mi minaccia. Annuisco e dopo qualche melenso saluto schernito bonariamente dalla madre, chiudo la chiamata.

Roma oggi è piacevole. Il sole sta tramontando, le temperature sono nella media e fumare all'aperto non ti congela ancora le mani. L'inverno è alle porte, come il Natale. Un paio di settimane all'invasione natalizia sia in casa che in libreria, con Alessia e Azzurra che addobbano anche il bagno. Non ero molto legato al Natale, prima di vivere con loro. In casa mia non si è mai festeggiato. Non ci sono mai stati cenoni, regali o alcun tipo di atmosfera. Quando volevo festeggiare, me ne andavo da Adele. Ma la voglia, anche in quei momenti, era comunque poca.

Poi, fatta la maturità, sono andato via di casa, ho affittato prima un bilocale con Alice e poi, con il contributo di Azzurra, ci siamo spostati in un appartamentino più grande. E da lì è cambiato tutto. Con loro è sempre stata famiglia, e quando c'è la famiglia, torna anche la voglia di festeggiare, di condividere momenti, di stare insieme.

«Ecco l'amico dell'anno!» Mi volto, riconoscendo subito la voce che ha richiamato con strafottenza la mia attenzione. «Come va? Stai vivendo la grande storia d'amore?»

«Che vuoi, Simo?»

«Niente, solo farti gli auguri»

«Hai saputo, quindi...» Avevo pensato di dirglielo. Volevo chiamarlo, parlargliene, poi l'ho visto strattonare Sarah e ogni buon proposito è andato a fanculo.

«La mia ex non è molto riservata su Instagram» ghigna, riferendosi probabilmente a qualche storia di Sarah. Alzo le spalle.

«Non abbiamo nulla da nascondere»

«Non vuoi nemmeno scusarti?» mi provoca.

«Scusarmi? E per cosa? Prima che vi lasciaste, tra me e Sarah non c'era mai stato nulla. Forse dovresti scusarti tu... anche se, sinceramente, non ce n'è bisogno. La mia storia con Sofia era finita da tempo, mi serviva solo lo scossone per prendere una decisione che avrei dovuto prendere mesi fa»

«Ancora vi raccontate la storiella che non c'era nulla? Dopo che avete passato più tempo insieme voi in poche settimane che noi in quattro mesi?»

«E ti sei chiesto perché?» Ora sono io a provocarlo, dandogli sottilmente ogni colpa per la fine di quella relazione.

«Finirà anche tra voi. Non reggerai, quando dopo mesi ancora farà storie per il sesso» ridacchio amaro, vedendo forse per la prima volta Simone per ciò che è. L'ho giustificato per anni. Ho provato per anni a trovare scuse al suo egoismo, al suo fastidioso menefreghismo, alla sua superficialità. Sono stato cieco, volutamente cieco, per non ammettere quanto in realtà fosse diventato una persona di merda. Per tutta la vita sono rimasto legato a ciò che era da bambino, quando era l'unico a porgermi la mano o a condividere un pallone. Ma nemmeno io sono più il bambino che ero. Nella vita si cresce, si cambia, ci si trasforma. E lui si è trasformato in un ragazzino viziato, sempre tutelato dai genitori, sempre servito e riverito.

I tradimenti a Sarah, quando Sarah ancora per me non era nulla, o almeno non lo avevo ancora capito, mi hanno dato lo scossone definitivo, mi hanno risvegliato.

«Sai, non abbiamo tutti le stesse priorità. Io e Sarah ci siamo trovati e tu non puoi farci nulla. Nessuna tua parola potrà rovinare quello che stiamo creando. Perché è solo nostro, è una connessione che nemmeno conosci»

«Sei così fastidiosamente romantico... quasi mi dispiace per te»

«E per cosa? Io sono innamorato, felice, appagato... tu sei qui a recriminarmi... cosa, esattamente?»

«Me la riprendo quando voglio»

«Non è mica una felpa... e non è una stupida, cosa che sapresti se i quattro mesi che hai passato a manipolarla, li avessi passati a parlarci. E ora scusa, ma devo andare»

«La padrona ti richiama all'ordine?» Ridacchio amaro per l'ennesima, infantile, provocazione.

«Prova a cercare una ragazza giusta per te, a innamorarti, a vivere la vita in due e non da solito egocentrico sfigato... si vive meglio» e riprendo a camminare. Non ho più niente da dirgli e non ho più voglia di condividere altro con lui.

«Me la riprendo quando voglio, Jo, ricordatelo. Vivitela, finché te lo concedo!» La sua ultima minaccia mi diverte. Pensa davvero che il mondo sia ai suoi piedi. Pensa di poter decidere della vita degli altri, perché per tutta la sua, di vita, gli è stato insegnato così. È sempre stato dipinto come il più bello, il più intelligente, il più sagace, il più simpatico. Talmente tanto gli hanno fatto credere di avere il mondo in mano che ora, a ventiquattro anni, pensa di averlo sul serio. 

Sai di nuvola // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora