Capitolo 19

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SARAH

Dopo aver parlato per ore con Joseph, seduti su quelle scalette luride e scomode, sono tornata a casa alleggerita. Il suo stare dalla mia parte mi ha aperto nuove prospettive sulla lite con Letizia. Nonostante sia ancora convinta di avere qualche colpa in questa vicenda, la fermezza con cui Jo mi ha difesa, mi ha portata a capire che non sono la sola ad aver sbagliato e che anche la mia amica dovrebbe farsi un esame di coscienza.

Tornata a casa ho preparato la cena, canticchiando qualche hit del momento mentre il volume della tv avvolgeva l'intero appartamento. Rientrando, mia madre mi ha vista allegra e ha sorriso rincuorata. In questi giorni è preoccupata per me, lo sento nei suoi toni e lo percepisco negli sguardi. Vedermi serena ha alleggerito anche lei.

Non le ho raccontato nulla degli ultimi giorni. Non mi va di parlare di Letizia e, ancor meno, di Simone. Non ho molto da dire, comunque, e la preoccuperei inutilmente. Dopo cena, ho lavato le poche stoviglie usate e ci siamo accoccolate sul divano, davanti a una vecchia puntata di Masterchef.

È l'alba quando apro gli occhi. Stremate entrambe, non siamo nemmeno riuscite ad andare a letto, preferendo la scomodità del divano. Le lascio un bacio veloce tra i capelli. Oggi non lavora, e non voglio disturbarle il sonno.

Mi lavo in fretta, metto la prima tuta che trovo nell'armadio, così da essere pronta per l'ora di ginnastica, e raccolgo i capelli in una coda alta e ben tirata.

La prospettiva di vedere Letizia a scuola non mi entusiasma, ma non voglio scappare. La notte porta consiglio, dice qualcuno, e a me ha rafforzato la consapevolezza di non essere nel torto. Non del tutto, comunque. Le parole di Joseph mi hanno accompagnata anche nei sogni, facendomi svegliare serena, nonostante il leggero torcicollo dato dal divano.

Mentre arrivo davanti al cancello della scuola, il cellulare mi vibra in mano. È lui.

-Buongiorno, piccole'. Daje-

Ridacchio per quell'espressione che non lo abbandona e gli rispondo con un cuore azzurro. Inevitabilmente penso a Simone, che da ieri non si è fatto sentire nemmeno con un misero messaggio. Non voglio paragonarli, so che sono due persone molto diverse. Simone è più concentrato su se stesso, per niente empatico, a tratti superficiale. Joseph, al contrario, vede chi ha intorno, lo comprende.

Di tanto in tanto mi tornano i mente le frecciatine del mio ragazzo al suo migliore amico; i pensieri di Simone mi hanno turbata, lì per lì, e mi hanno confusa. Ho anche provato a dargli ragione, a convincermi che lo lui conosce da anni, io da poche settimane. Il mio istinto, tuttavia, ha avuto la meglio e, dopo averci rimuginato per ore e giorni, credo sia il mio, il pensiero giusto su Joseph e che Simone sia soltanto geloso.

Arrivo in classe e vedo subito Letizia, seduta al suo banco che guarda annoiata la finestra. Abbiamo avuto la stessa idea e, nonostante la campanella non sia ancora suonata, entrambe abbiamo pensato di rifugiarci in classe scappando dalla folla. Sbuffo. Non ho per niente voglia di affrontarla a prima mattina. Faccio per andarmene ma lei, voltandosi per prendere qualcosa nello zaino, mi vede.

«Ciao eh» borbotta nervosa. Alzo il mento, ricambiando quel suo saluto freddo. Dovrei essere io quella nervosa, quella delusa e arrabbiata. «Passato un'altra fantastica giornata con Joseph, ieri?» aggiunge sarcastica, sottolineando velenosamente quel nome.

Raggiungo il mio banco e mi siedo controvoglia, poggiando la schiena al muro.

«Sai, in effetti sì. Quando sono tornata a casa, dopo aver pianto per ore per le parole che mi hai ingiustamente vomitato addosso, l'ho trovato ad aspettarmi davanti al portone» rispondo, con una nota di sadismo nella voce che quasi non riconosco. Non penso di essere una persona cattiva, non lo sono mai stata, eppure adesso la mia unica volontà è di farla rimanere male.

«Che carini! E Simone lo sa?» Mi stringo nelle spalle, rimanendo indifferente alla sua domanda.

«Certo» mento. «Simone lo sa, ne abbiamo parlato e ha capito perfettamente che non c'è nulla di male». Non sono sicura che stia davvero credendo alle mie parole, ma la fermezza della mia voce la fa vacillare. Quasi sussulta, deglutendo a fatica e stampandosi poi in faccia un sorrisetto forzato.

«Buon per te» riprende. «Ora puoi vivere il sogno di qualsiasi protagonista dei tuoi teen drama preferiti, con il fidanzatino perfetto e il migliore amico bellissimo da cui rifugiarsi dopo ogni lite»

«E tu quanto vorresti viverlo questo sogno? Quanto vorresti vivere la mia vita?» la istigo, parafrasando un po' le parole di Joseph. Lei ridacchia.

«Pensi davvero che io sia invidiosa?»

«Penso tante di quelle cose, dopo ieri, che non credo tu voglia davvero saperle» ammetto.

«No, infatti, non voglio saperle». Alzo le spalle ma evito di risponderle ancora. Non ho più forze per litigare con Letizia. Non ho più voglia di ascoltarla, di dirle ciò che penso, di confrontarmi con lei. Siamo andate avanti per anni spinte da un'amicizia decennale, spinte dalla routine. Era facile essere amiche, perché lo siamo sempre state. Ma le persone cambiano e spesso, con gli anni, non sono più compatibili. Noi non lo siamo da un po', e le ultime settimane hanno solo reso evidente questa rottura.

***

Uscendo da scuola, seguendo lo stuolo di studenti che abbandona festante l'edificio, riconosco Simone che fuma poggiato alla sua auto. Non mi aspettavo di vederlo, dopo quasi ventiquattr'ore di silenzio, e trovarmelo davanti non mi fa provare nulla. Né gioia, né preoccupazione, né frenesia. Niente di niente. Forse solo un po' di noia.

Il pensiero che Letizia, dopo la discussione di stamattina, possa averlo contattato per riferirgli chissà cosa mi sfiora e, ancora, non mi smuove. Gli cammino incontro con calma, senza ricambiare il sorriso che mi rivolge vedendomi.

«Non mi aspettavo di trovarti qui» affermo. Lui fa l'ultimo tiro alla sigaretta e la butta a terra, incurante dell'ambiente che tanto finge di difendere. Inevitabilmente penso a Jo e al suo posacenere portatile e ridacchio tra me e me.

«Lo so... ieri ero nervoso»

«Direi più che altro impegnato»

«In che senso?» Incrocio le braccia al petto guardandolo di sbieco da dietro i miei occhiali scuri.

«La bionda che ti è saltata addosso mentre parlavamo. Quando sono andata via non te ne sei nemmeno accorto» spiego pacata. Non mi importa davvero; non sto provando a fare la forte o l'orgogliosa, semplicemente non mi interessa.

«È una mia compagna di corso, si chiama Denise»

«Molto bella» affermo.

«Sembri contrariata» azzarda. Arriccio un po' le labbra, squadrandolo da capo a piedi e, per la prima volta da quando stiamo insieme, sento di avere in mano io il potere. Di avere il coltello dalla parte del manico.

«Dovrei?»

«No, è solo un'amica»

«Ma dai, solo un'amica? Quindi dovrei dare di matto, come hai fatto tu per la storia di Joseph»

«Non è la stessa cosa» afferma a denti stretti.

«No, infatti, non è la stessa cosa. Perché tra me e lui non ci sono abbracci o strusciamenti. Perché tu lo conosci e sai di poterti fidare. Perché ci vedi insieme e sai di cosa parliamo. Non è per niente la stessa cosa» dico sicura. Lui sospira, accendendo l'ennesima sigaretta e sbuffandomi in faccia un po' di fumo che mando via con un movimento meccanico e involontario della mano.

«Mi inviti a pranzo?»

«Come?! Non sei troppo impegnato oggi per pranzare con me?» domando, fingendo stupore.

«No» esclama convinto, buttando l'ennesima sigaretta a terra e avvicinandosi con calma. Mi cinge i fianchi e mi attira a lui. Io, già stanca di fare la sostenuta, mi lascio andare allacciando le mani intorno al suo collo. «Oggi sono tutto tuo», continua. «Mi sono preso la giornata libera»

«D'accordo allora. Andiamo» esclamo ridendo e lo bacio. Un bacio più lungo del previsto, dopo giorni di mancanza.

Sai di nuvola // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora