SARAH
Nonostante la finta indifferenza mostrata davanti a lui, il discorso con mio padre mi ha scossa più di quanto credessi possibile. Insomma, lo stomaco contorto avrebbe dovuto farmi riflettere, ma pensavo sarebbe passato con l'arrivo del primo. Non è stato così, e ho mangiato a forza per non farlo preoccupare. Non siamo più tornati sull'argomento, dopo quel breve scambio di battute, ma io non faccio che pensarci. Ci ho pensato per il resto del pranzo, e ci sto pensando adesso, mentre lui guida rilassato verso casa. Anche mentre lo saluto e lui mi raccomanda di salutargli mamma, continuo a rimuginare su quelle parole.
Entro dentro casa e trovo mia madre buttata sul divano, con una busta di popcorn del discount in mano e una birra ghiacciata sul tavolinetto di fronte a lei. Mi saluta senza degnarmi di attenzione, troppo presa dall'ennesima puntata di "Quattro matrimoni", la sua ossessione, e io la raggiungo senza nemmeno togliere le scarpe. Mi butto accanto a lei con poca grazia e sfilo le sneakers lanciandole davanti a me. Mi rannicchio contro lo schienale e fingo di interessarmi a questo programma che odio e che lei guarda adorante. So che sogna un matrimonio. A quanto pare, a detta sua, tutte le ragazze lo sognano. A me non è mai capitato, ma non me la sento di contraddirla.
«Che hai?» chiede senza staccare gli occhi dal televisore. Respiro rumorosamente, mentre cerco le parole adatte per raccontarle ciò che mi passa per la testa senza che inizi a fantasticare troppo. Lei sembra l'unica a non trovare nulla di male in quest'amicizia. L'unica a parte me e Joseph, ovviamente. Le racconto del pranzo, soffermandomi un po' sulla nuova misteriosa ragazza di papà.
«Tuo padre ha tutto il diritto di rifarsi una vita» quasi mi ammonisce.
«Lo so, non dico il contrario. Ma ti sembra sana la sua vita sentimentale?»
«Non giudicarlo»
«Non lo sto giudicando, sono preoccupata. Io penso che dovreste darvi una seconda chance» dico con fermezza, suscitando in lei una risatina.
«Sei un disco rotto, Sarah. Tra me e tuo padre è finita secoli fa e nessuno dei due pensa più all'altro» conferma sicura. Alzo gli occhi al cielo ma evito di ribattere. Ormai questo discorso finisce sempre così e non mi va di sembrare la figlia egoista che vuole a tutti i costi i genitori insieme. Io non li voglio insieme per forza. Sono cresciuta vedendoli separati, sono stata abituata così e sono cresciuta bene. Sono sempre andati d'accordo, non mi hanno causato traumi con litigi continui, ma credo davvero che dovrebbero riprovarci. Non è la mia vita, comunque, quindi lascio correre sperando che, prima o poi, si rendano contro dei loro veri sentimenti.
«Poi abbiamo parlato di Joseph». Sentendo quel nome le si alzano le antenne e, per la prima volta da quando sono rientrata, si volta verso di me abbassando il volume della tv e invitandomi a continuare. Prendo qualche popcorn dalla busta, che mando giù con un sorsetto di birra, faccio un respiro profondo e continuo, raccontandole per filo e per segno quella conversazione e le relative preoccupazioni di mio padre. Lei mi ascolta in silenzio, quasi rapita e anche leggermente stupita dalla profondità di quell'uomo che, da sempre, vede con un bambino che non ha mai lasciato l'isola che non c'è. Per mia madre, papà è un eterno Peter Pan con zero voglia di crescere.
«Beh... che dire... non ha tutti i torti» ammette. «Io non penso ci sia niente di male in un'amicizia»
«Tu odi Simone» la interrompo.
«Calma!» mi blocca. «Io non odio nessuno. Credo non sia adatto a te, ma hai quasi diciotto anni e credo tu sia in grado di prendere decisioni per te stessa. Ora, messa da parte la mia antipatia, torno a dirti che no, non credo ci sia niente di male in un'amicizia. Credo anche, però, che potrebbe creare problemi» ammette.
«Problemi in che senso?»
«Nel senso che Joseph non è un tuo compagno di classe, o un tuo amico qualsiasi. È il migliore amico di Simone, lo hai conosciuto così. E per quanto non ci sia niente di male in un'amicizia, questa non è un'amicizia qualunque. Se Simone e Letizia avessero lo stesso rapporto che avete voi due, come la prenderesti? Simone lo sa?» Abbasso il capo.
«No» sussurro. Simone non sa niente. Letizia non sa niente. Sofia non sa niente. Nessuno sa niente e mantenere questo segreto la rende una cosa sporca.
«Perché no?»
«Perché non voglio creare casini, non voglio litigare con Simone e non voglio che litighino tra loro»
«Ma se non c'è niente di male, perché dovrebbero esserci litigi?» mi domanda sibillina. Non vuole una risposta, e il suo tornare a concentrarsi sulla tv me lo conferma. Non ha bisogno di una risposta ma vuole che io la dia a me stessa.
La vibrazione del mio telefono mi distrae. Lo prendo dalla tasca e vedo dall'anteprima un messaggio di Simone che mi informa che verrà a prendermi alle diciannove, così da raggiungere gli altri per un aperitivo prima di cena. Confermo, scrivo a Letizia di farsi portare qui un po' prima di quell'ora e poi mi alzo.
Non mi va più di pensare al discorso con mio padre, alle parole di mia madre o a quanto sia sbagliata la mia amicizia con Jo. Non voglio pensare a niente, voglio solo prepararmi per la serata.
***
«Saretta, ma sai che tra qualche settimana in libreria c'è un seminario su Jane Austen?» Sentendo le parole di Joseph, i miei occhi si illuminano e subito mi avvicino a lui per saperne di più. «Lo tiene una professoressa della Sapienza appassionata della Austen» continua.
«Da quando ti piace Jane Austen?» interviene Simone. Lo guardo strabuzzando gli occhi, incredula nel sentire quelle parole.
«Da sempre» mi limito a rispondere con freddezza, abbassando poi il capo risentita. Respiro a fondo, ricaccio indietro le lacrime e torno a guardare Joseph, che mi rivolge un sorriso comprensivo e confortante.
«E tu come lo sai?» chiede il mio ragazzo, stavolta rivolto al suo migliore amico. Lui alza le spalle.
«Ne abbiamo parlato un paio di volte» afferma tranquillo.
«Parli con la mia ragazza?» Il tono di Simone appare pacato, ma sento nella sua voce una nota di fastidio e di rimprovero.
«Come parlo con chiunque. O Sarah è una tua proprietà che può parlare solo con te? Tu non parli con Sofia?» lo stuzzica. Simone si lascia andare a una risatina per niente divertita. Poi alza le mani in segno di resa e si volta verso il resto del tavolo. Intercetto lo sguardo di rimprovero di Letizia e subito distolgo il mio. Non potrei reggere anche le sue illazioni.
«Non ce la faccio più» sospiro. Joseph mi dà un calcio leggero sotto il tavolo, simile più a una carezza, e mi invita silenziosamente a guardarlo. Mi tranquillizza con gli occhi, sussurrandomi che non è successo nulla. Mi lascio andare a un mezzo sorriso che lui apprezza, ricambiando.
Il resto della serata procede fastidiosamente tranquillo, con Simone che mi ignora, Azzurra che di tanto in tanto mi abbraccia e Joseph che continua a parlarmi senza dar peso a ciò che è successo poco fa. Anche Letizia tende a ignorarmi, preferendo passare l'intera serata a confabulare con Sofia. Una situazione surreale a cui, se me la raccontassero, non crederei.
Quando arriva il momento dei saluti, Jo si lascia andare a un abbraccio confortevole mentre tra i capelli mi sussurra ancora di stare tranquilla e di non dar peso alla cosa. Vorrei avere la sua calma e la sua pazienza, ma purtroppo niente di tutto ciò fa parte del mio carattere. Sono un'insicura, una che rimugina su una sola parola per giorni, una che si fa venire sensi di colpa anche se strappa per sbaglio la pagina di un libro.
Finito il giro di saluti, montiamo in macchina. Letizia, sui sedili posteriori, sta in silenzio, guardandomi di sbieco dallo specchietto retrovisore.
«Problemi?» sbotto, voltandomi.
«No, perché?»
«Non mi parli da inizio serata» spiego. Simone ridacchia scuotendo la testa. «E tu che hai da ridere?» chiedo poi, rivolta a lui.
«Ho che hai passato tutta la sera a parlare con Joseph, ecco che ho». Stringo le mani in un pugno che mi fa male e soffoco in gola l'urlo che vorrebbe uscire. Sento le lacrime scendere indisturbate, non riesco a fermarle in nessun modo. Abbiamo parlato di libri, solo di libri. Non abbiamo escluso nessuno, eravamo a tavola con gli altri, eppure sembra che abbiamo commesso un delitto.
«Avreste potuto partecipare» mi limito a dire, voltandomi poi verso il finestrino e perdendomi nel panorama notturno.