Capitolo 5

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SARAH

«Ovolina, stavo per chiamare 'Chi l'ha visto'» esordisce mio padre, rispondendo al telefono. Sbuffo per quel soprannome che, come mia madre, non vuole abbandonare, ma lo ignoro. Avrei dovuto richiamarlo due giorni fa, ma tra i sensi di colpa per il pranzo e le paranoie di Letizia, mi è del tutto passato di mente. Il rapporto con mio padre non è stretto come quello con mamma. Gli voglio bene, ovviamente, come lui ne vuole a me, ma non è il mio confidente preferito. Mi conosce poco, e da quando mi sono spuntate le tette, evita accuratamente qualsiasi argomento che potrebbe imbarazzarlo: ragazzi, mestruazioni, sesso. Insomma, vuole vedermi ancora come la sua bambina e io lo lascio fare.

Perché lui, nonostante gli anni, è più bambino di me, e non è davvero pronto ad avere a che fare con un'adolescente. Mio padre è fermo all'adolescenza. Fermo a quando, per sbaglio, ha messo incinta mia madre e si è ritrovato, dopo nove mesi, con una figlia in braccio. Non è cattivo, è un bravo padre, ma è... limitato. Sì, credo sia questa la parola giusta. Come mia madre, comunque, non me l'ha mai fatto pesare. Non mi hanno mai dato colpe, che comunque non avrei.

«Lo so, scusa, ho avuto parecchio da fare» spiego, senza scendere nei particolari.

«Non preoccuparti. Come sta mamma?» Eccola, la domanda fatidica. Tra i miei c'è un rapporto strano. Lui è ancora innamorato, lei non vuole più saperne e lui, per provare a non pensarci, cambia ragazza ogni mese fingendo disinteresse. Dice che si informa solo perché è mia madre, perché ci condivide una figlia. Fingo di credergli e vado avanti. Prima o poi ammetterà i suoi sentimenti e saremo tutti più sereni. Tranne lui, forse...

«Solito... lavora tanto e mangia poco» mi lamento. So che la sgriderà per il cibo e lei, nonostante la fermezza con cui dice di non volerci ritornare mai nella vita, lo ascolterà. Lo ascolta sempre.

«Venite a cena una sera di queste?» Annuisco, pensando che possa vedermi, e sussurro un sì.

«Da te e dalla tua nuova ragazza?» lo schernisco. Spesso queste cene servono per le presentazioni.

«Nessuna nuova ragazza, voglio stare da solo per un po'»

«Ma va'» lo prendo in giro, fermandomi davanti a una libreria. «Non è da te. Stai male?» Nel frattempo spulcio un po' la vetrina, sperando che qualche copertina attiri la mia attenzione. Non è un libro, però, ad attirare la mia attenzione, ma Joseph. Sento mio padre che continua a parlare in sottofondo ma ormai la mia percezione è ovattata, e non capisco davvero cosa mi stia dicendo. Vedo solo Jo, perso tra gli scaffali immensi di una delle librerie più antiche di Roma. «Scusa pa', devo andare. Ci risentiamo, ok?» e senza aspettare la risposta, chiudo al volo la chiamata.

Sono agitata. Perché sono agitata? È solo Joseph. Non ci siamo più visti, dopo quel pranzo. Pensavo di rivederlo direttamente nel weekend, quando sarei stata con Simone e con tutti gli altri. Non avevo fatto i conti con la possibilità di rivederlo prima, da sola. Potrei scappare, rigirare e tornare a casa. Ma mi ha vista e mi ha salutata. Non posso fuggire.

Entro e l'odore di legno e di libri nuovi mi circonda. Amo così tanto le librerie, ci passerei giornate intere. Lui mi viene incontro, con quel suo mezzo sorriso tirato che ormai ho imparato a conoscere.

«Saretta, che fai qui?»

«Volevo un etto di salame» scherzo e faccio ridere anche lui. Non era una battuta così divertente, comunque. «Tu?» aggiungo per non lasciare appesa la conversazione.

«Io lavoro. Dovrò pur pagarmi gli studi, in qualche modo». Questa sua affermazione mi lascia perplessa e piacevolmente stupita. Nella mia testa da diciassettenne un po' ingenua, l'università te la pagano i genitori. Lui, che invece è una continua sorpresa, se la paga da solo. «Ti sei imbambolata?»

Sai di nuvola // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora