JOSEPH
Entriamo dentro casa in silenzio. Nessuno dei due ha ancora aperto bocca, né per parlare di quello che è appena successo con Simone, né di altro. Vorrei dire qualcosa, per confortarla, per non farla sentire sbagliata o a disagio. Lei non mi dà il tempo di farlo e, poggiato lo zaino all'ingresso, mentre io mi faccio spazio impacciato tra le sue mura domestiche, scappa in bagno.
La casa non è molto grande. Il salone, che dà su un giardinetto ben curato, ha al centro un tavolino da sei posti, con dietro il divano, di fronte alla tv. Al lato del divano, una libreria che prende un'intera parete. Di fronte, una porta scorrevole divide il salotto dalla cucina e, oltre la cucina, c'è il bagno.
Quando Sarah si rifugia lì dentro, non chiude la porta, ed io, dall'ingresso, la sento singhiozzare. Sento il suo pianto strozzato, probabilmente perché cerca di reprimerlo per non farsi sentire. Sento l'acqua scorrere, e una tosse nervosa spuntare dal nulla che la fa agitare ancora di più.
La raggiungo, senza entrare, e la vedo piegata sul lavandino. Continua a sciacquarsi il viso; le lacrime, che non riesce a fermare, si mischiano all'acqua fresca con cui si bagna il volto. Si alza in piedi e, dallo specchio, mi vede. Mi sorride appena. Entro, sedendomi sul bordo della vasca e aspettando un suo cenno.
«Mi ha detto delle cose orribili» confessa. «È arrivato dicendo di voler chiarire, di voler stare con me, di aver sbagliato... poi ti ha visto da lontano e ha cominciato a insultarmi»
«Sai che non è vero, sì? Tutto quello che ti ha detto non è vero». Prende una generosa quantità di carta igienica e comincia ad asciugarsi gli occhi, rossi e stanchi. Ha il trucco un po' sbavato e il naso rosso e gocciolante.
«Io non ci sto capendo niente» ammette. Sospiro, provando a esorcizzare la paura. Butta la carta nel cestino sotto il lavandino, ed esce dal bagno, invitandomi a seguirla. Raggiunge il divano e ci si rannicchia sopra, con un cuscino stretto a sé. Il sole le illumina il volto rendendola, se possibile, ancora più bella.
Anche adesso, anche con gli occhi tristi e spenti, con il volto segnato dalla stanchezza, rimane la persona più bella dell'universo.
«Io non voglio che tu ti senta così» dico sicuro, sedendomi al lato opposto del divano e non staccandole mai gli occhi di dosso. Voglio che capisca le mie parole, voglio che ci creda. «Non voglio più vederti piangere, non voglio vederti stare male»
«E cosa vuoi?»
«Che tu sia felice. So quanto questo momento sia delicato, e non pretendo niente. Credo che baciarti sia stato uno sbaglio». Lei sgrana gli occhi e mi sembra di scorgere, nella sua espressione, un po' di paura.
«Ah sì?»
«No... cioè, non fraintendermi... io volevo baciarti... volevo farlo da settimane, probabilmente. Ho represso un sentimento incontrollabile, impossibile da gestire. E l'ho fatto per te, per Simone, per Sofia... io e te eravamo amici, non potevo creare casini...»
«Che mi vuoi dire?» sussurra lei, con un mezzo sorrisino sul volto.
«Che penso di amarti...» confesso, con un tremolio evidente nella voce. Lei continua a sorridere, ma non dice nulla. Vuole che continui, vuole che sia io a parlare adesso. «La verità è che mi sei entrata dentro, Sa', e non so nemmeno il perché, o quando sia successo. Pensavo fosse solo un istinto di protezione, all'inizio. Ti vedevo indifesa, impaurita, per niente sicura di te e volevo proteggerti, volevo che ti vedessi come già ti vedevo io. Quando Simone ha cominciato a tradirti, volevo solo spaccargli la faccia. Quando stavo con Sofia, pensavo a te... non era solo istinto di protezione...» Lei abbassa lo sguardo, forse imbarazzata da una franchezza che nemmeno io mi aspettavo.