JOSEPH
«È così strano stare qui» sussurra Sarah mentre spulcia nella mia libreria. Alzo gli occhi dal tomo che ho tra le mani e la osservo. Siamo a casa mia. Tra qualche giorno ho un esonero, motivo per cui Azzurra mi ha concesso qualche pomeriggio libero per prepararmi al meglio. Ho invitato Sarah a studiare da me, così da poterci vedere nonostante gli impegni, ed ora siamo qui, chiusi in camera, io steso sul letto e disperato per un esonero che non passerò, e lei che ha smesso di studiare già da un po'.
«In che senso, strano?» chiedo, chiudendo il libro. È quasi ora di cena, e le mie sinapsi non stanno più rispondendo. Riprenderò più tardi o, probabilmente, domani. Lei legge ogni titolo presente tra i miei libri, da quelli di lettura a quelli universitari, poi si ferma un po' sui dischi, sui molti vinili, scorrendo col dito anche i diari, che tengo gelosamente tutti in fila, anno per anno, e che non ho mai fatto toccare a nessuno. Eppure le sue mani su di essi non mi innervosiscono. Glieli farei leggere, se volesse.
«Ti piace scrivere?» mi domanda, venendo verso di me e allungandosi sul letto, stretta tra le mie braccia.
«Di tanto in tanto»
«E cosa scrivi?»
«Le mie giornate, i miei pensieri... un po' di tutto» spiego, lasciandola giocherellare in pace con la mia mano, che tiene aperta davanti a se disegnando sul palmo cerchi concentrici e immaginari.
«Lo faccio anche io» afferma contenta. «Ho iniziato da bambina, quando un'amica della mamma mi regalò un diario stupendo a forma di orsetto. Scrivere è liberatorio». La guardo, sorridendo alle sue parole e lasciandole un bacio.
«Perché è strano stare qui?» Sospira, accoccolandosi sulla mia spalla. Riflette, legando meglio le sue gambe alle mie.
«Sai... non voglio fare paragoni con Simone, ma è l'unica esperienza che ho e... insomma... non pensavo fosse così, avere una relazione»
«Così, come?»
«Boh... così... io e te che studiamo insieme, a casa tua. Io che posso guardare nella tua libreria, o prendere il tuo telefono senza nemmeno chiedertelo... io e te stesi sul letto abbracciati senza secondi fini, senza pressioni, senza niente... semplicemente io e te, non so come dire»
«Ho capito, tranquilla...» la rassicuro e leggo nel suo viso una confortante tranquillità. Mi ha parlato della sua storia con Simone. Me ne ha parlato anche Simone, spesso minimizzandola. Lei si sentiva accerchiata, per lui era soltanto un gioco. Simone ha sempre visto in Sarah una ragazzina che lo venerava. Quasi, per lui, non era nemmeno una persona. Più un giocattolino, un pezzo di pongo da plasmare a suo piacimento.
«Comunque non voglio ficcare il naso nelle tue cose, spulciare nel tuo telefono o altro... non sono pazza» ridacchio alla sua precisazione, baciandola tra i capelli.
«A me non importa... il telefono lo uso solo per chiamare e mandare qualche messaggio... ahimè, ho una vita monotona e senza segreti» quasi mi lamento, facendola ridacchiare. «E puoi venire qui quando vuoi, anche se non ci sono» aggiungo poi. Lei si stringe a me un po' di più, con la scusa del freddo.
«Vuoi venire a cena da noi, una sera di queste? Sai, ho parlato a papà di te, qualche volta, e vorrebbe conoscerti...»
«Gli hai parlato di me? Davvero?» Annuisce convinta.
«Gli parlo di te da settimane» confessa. «E anche lui era scettico su quell'amicizia» ghigna.
«Comunque sì, certo... ma ti dispiace se rimandiamo a dopo l'esonero? Tanto è tra tre giorni» bofonchio impaurito. Lei annuisce e si mette a cavalcioni su di me. A quanto pare è stanca di parlare e, sinceramente, lo sono anche io. Comincia a baciarmi, prima sulle labbra, poi scende sul collo, muovendo i fianchi sul mio bacino.
«Ehi, ehi, aspetta...»
«Cosa?» chiede confusa.
«Eh... cosa...» provo a regolare il respiro mentre cerco di pensare a qualsiasi cosa pur di placare i bollenti spiriti. Penso al bagno da pulire, alla spesa da fare, all'esonero, alla cena con i suoi genitori. Il sangue riprende a circolare monotono.
«Tutto bene?»
«Sì, sì, tutto bene» rispondo convinto e riprendo a baciarla. Devo imparare a controllarmi anche in situazioni del genere, perché non voglio che reazioni incontrollate e improvvise la infastidiscano o la facciano sentire sotto pressione.
«Non mi sconvolge un po' di eccitazione» sussurra, nascondendosi nell'incavo del mio collo.
«Scusa Sa', davvero... non l'ho fatto di proposito». Mi guarda negli occhi e le sue gote rosse quasi mi inteneriscono.
«Non sono pronta per il sesso ma... potremmo fare altro...» sospira, tornando a nascondersi così che io non possa guardarla in viso.
«Non sei costretta a fare nulla»
«Lo so» sospira ancora mentre, con uno scatto pudico e impacciato, comincia ad accarezzarmi sotto la maglietta. Le sue mani sul mio petto mi confondono e mi eccitano. Mi fanno sentire vivo e presente nel mio corpo. Mi bacia con veemenza, con foga, come se grazie a quel bacio potesse soddisfare una fame d'aria che le stava togliendo il respiro. Come se da quel bacio le arrivasse tutto il coraggio di continuare a fare ciò che sta facendo. Mi bacia e accarezza ogni centimetro della mia pelle da sotto la maglia, andando giù. Sempre più giù. Fino alla cerniera dei jeans.
***
«Non sono brava, lo so... migliorerò» quasi si scusa, mentre si richiude la camicia e si dà una sistemata ai capelli. Io sono ancora steso sul letto, con lei seduta che mi dà le spalle. Il tremolio della sua voce e l'imbarazzo di quelle parole un po' mi fanno sorridere. La abbraccio da dietro, poggiando il capo sulla sua gamba.
«Non devi mica scusarti o giustificarti»
«Beh... insomma... avrai avuto decine di ragazze». Abbasso il capo, consapevole che questo discorso sarebbe arrivato, prima o poi. Perché Sarah è tante cose: è gioiosa, è vulcanica, è imprevedibile, è logorroica, è simpatica, è bellissima, è intelligente, è dinamica, è altruista, è impulsiva. È tante, tantissime cose. Ma è anche tanto, troppo, insicura. Si guarda allo specchio e pensa di valere meno degli altri. Tiene molti pensieri per sé, pensando non interessino a nessuno. Ha paura di sbagliare, di apparire fuori luogo, di sembrare una bambina.
«Nessuna valeva un quarto di quanto vali tu» dico convinto. Lei ridacchia nervosa, mordicchiandosi un pollice. Glielo levo dai denti e la forzo a guardarmi. «Non scherzo», continuo. «Non lo dico perché sei qui con me. A me del sesso non importa, non nei termini in cui pensi tu, comunque. Non ti tradirei per avere da altre qualcosa che non sei pronta a darmi. Non ti forzerei mai... non mi importa. Non voglio una scopata a caso. Io sto con te perché voglio te, con i tuoi pregi, le tue insicurezze, i tuoi difetti. Con quelle lentiggini che scoppiano al sole, gli occhi che cambiano colore con la luce, i capelli morbidi e sempre profumati. Voglio queste labbra» dico, e le lascio un bacio. «Voglio questo naso arricciato quando sei sovrappensiero», altro bacio. «Voglio le gote arrossate», bacio. «La fronte corrugata quando sei assorta», ultimo bacio. «Io voglio te, solo te» dico convinto.
«E se non mi sbloccassi mai?»
«Perché hai così paura? Perché senti tutta questa pressione? Il sesso non è uguale per tutti, non è obbligatorio, non ha una data di scadenza. Ti sbloccherai quando sarai pronta. E se non sarai pronta, andrà bene lo stesso. Oggi, in fondo, è andata bene, no?» chiedo con fare leggermente malizioso. Lei sorride imbarazzata e annuisce convinta. Sì, oggi è andata bene. E andrà sempre meglio.