JOSEPH
«Aspetterò l'anno nuovo per lo psicologo. Ho provato a cercare un po', ma in queste settimane è un delirio a lavoro» spiego, mentre camminiamo tra le bancarelle di Piazza Navona. Roma, a Natale, diventa magica. Amo la mia città, non la cambierei per nulla al mondo, ma sono abbastanza obiettivo da riconoscerne i tanti difetti. Eppure, sembra che a Natale spariscano tutti.
Sarah si stringe un po' a me, con una mano nella tasca del mio cappotto, che dice essere più calda della sua, e uno sciarpone che le copre quasi del tutto il viso. Vedo i suoi occhi sorridere comprensivi, comunque, e un po' mi rilasso.
«Non devi giustificarti» mugugna, non perdendo di vista nemmeno uno stand. Ha già comprato chili di dolci e qualche palla di Natale da aggiungere al suo o al mio albero. È passato qualche giorno dalla nostra ultima discussione, da quando le ho promesso che sarei andato in terapia. Giorni di silenzio, su quel fronte.
A volte la vedo pensierosa, assente. Ho imparato a conoscerla, sto imparando ogni giorno, e credo di essere abbastanza bravo, ormai, a leggere i suoi pochi silenzi. So che vorrebbe dire altro, riaprire l'argomento, provare a farmi cambiare idea ancora, ad accelerare i tempi. Apprezzo questa sua discrezione. Apprezzo lo sforzo che sta facendo.
«Non vorrei che pensassi che mento»
«Non penso che menti» mi tranquillizza, fermando la marcia e dandomi un bacio morbido e peloso da dietro la sciarpa. Ridacchio e gliela abbasso un po', per far scontrare le mie labbra congelate con le sue, riscaldate da tutta quella lana. «Io mi fido di te» aggiunge. «Non solo per questa questione, parlo in generale. Mi fido di te, non dubitarne»
Annuisco e mi faccio trascinare verso una bancarella, proveniente probabilmente dal Veneto o dal Trenino, piena di pupazzi fatti in legno di gnomi, fate, elfi e folletti. Sarah li guarda estasiata, appassionata com'è di qualsiasi mitologia.
«Vuoi comprare qualcosa?» le chiede subito la signora dietro il bancone, vestita da tirolese e con uno spiccato accento del nord.
«In realtà comprerei tutto, ma poi verrei buttata fuori casa, probabilmente» ammette, ridendo.
«Oh, beh... una fatina del bosco in casa va tenuta» ribatte l'altra convinta, porgendogliene una. Sarah la prende e fa per tirare fuori il portafoglio. «No, questa ve la regalo io come buon augurio, spero vi porti tanta gioia» dice decisa, sorridendoci con le sue guance paffute e infreddolite. La ringraziamo e riprendiamo a camminare tra i turisti.
«Mia madre è strana ultimamente» svela dopo un po'. Non sembra preoccupata, più curiosa.
«In che senso?»
«Boh... esce spesso, non dice dove va, risponde ai messaggi ridendo e se le chiedo chi è dice "niente" con fare colpevole... tipo una bambina»
«Magari sta uscendo con qualcuno» la butto lì.
«E non può dirmelo?» chiede, quasi offesa. Sorrido scuotendo appena il capo. Non ce la farà mai, è più forte di lei.
«Sarah, tesoro...» dico fermandomi per guardarla negli occhi, «non sono tutti come te, questa cosa deve entrarti in testa». Arriccia le labbra come se le stessi spiegando qualche concetto incomprensibile di fisica quantistica.
«Ma che problemi ha la gente? È così bello parlare» borbotta scoraggiata.
«Sì, diciamo che sono punti di vista... il punto è che magari sta vivendo qualcosa di nuovo, che non conosce nemmeno lei e che quindi non sa spiegare. Non pressarla» sbuffa e alza gli occhi al cielo con quel suo modo teatrale che riesce sempre a farmi ridere.
«Non ha mai voluto una relazione e ora che sto provando a farla tornare con papà, decide di uscire con qualcuno?» domanda retorica a se stessa, con un tono quasi ferito nell'orgoglio.
«L'importante è che sia felice, no?» Sorride alle mie parole, annuendo convinta.
«Sì... in realtà sì... è solo la mia stupida curiosità» ammette. Le accarezzo il viso, indugiando un po' con la mano.
«La curiosità non è mai stupida» dico convinto, baciandole la fronte, unica parte scoperta del suo volto insieme agli occhi.
«Andiamo a casa?» annuisco e le tolgo qualche busta dalle mani.
***
«Mamma, siamo a casa» urla Sarah entrando. Il silenzio ci circonda, nonostante lei sembri sicura della presenza della madre.
«Forse è uscita» azzardo. Alza le spalle e poggia le buste in cucina, togliendosi poi sciarpa e cappotto.
«Non credo, le luci sono tutte accese. A meno che non sia impazzita»
«Sarah, non dovevate cenare fuori?» Monica spunta dalla zona notte. Sembra... accaldata. Un po' di fiatone, le guance rosse e i capelli appena scompigliati. Ridacchio quando vedo spuntare, dietro di lei, Vittorio. Sarah, comunque, non sembra farci caso.
«Ciao ovolina»
«Papi, che fai qua?»
«Niente» subito risponde Monica, visibilmente agitata, «è venuto a cambiare la lampadina in bagno. Sai quant'è difficile»
«Poteva farlo Jo»
«Sì, beh... devo uscire e mi serve il bagno, pensavo non tornaste per cena» si giustifica ancora la donna. Vittorio mi guarda, supplicandomi di rimanere in silenzio. Annuisco appena e continuo a guardarmi intorno divertito.
«Ok... abbiamo comprato un po' di dolci e qualche altra decorazione» cambia subito discorso Sarah, mostrando ai genitori gli ultimi acquisti con gli occhi che le brillano.
«Che bella questa fatina»
«Oh sì, ce l'ha regalata una signora carinissima ai mercatini. Per adesso starà una settimana qui e una da lui, poi quando andremo a convivere abiterà con noi» afferma tranquilla, come se stesse parlando del tempo. Monica e Vittorio sgranano gli occhi in simultanea, io quasi mi strozzo con la mia saliva.
«Che?»
«Volete andare a convivere?» urlano insieme.
«No» rispondo subito io, in preda al panico. Chi ha mai parlato di convivere? Stiamo insieme da neanche un mese!
Sarah ride di gusto.
«Volete darvi una calmata, tutti quanti! Non ho mica detto "adesso". Quando sarà, se sarà... e se non sarà significa che ci saremo lasciati, e in quel caso la fata verrà seppellita in mezzo a un bosco perché non avrà fatto il suo dovere» spiega sicura, facendo tornare un po' tutti a respirare.
Monica e Vittorio ci salutano, fingendo di andarsene separatamente. Potrei dire a Sarah cosa ho notato, ma non voglio illuderla. Si stanno rivedendo, ormai è palese, ma è giusto che siano loro a parlargliene.
«Ti sei spaventato prima, per la storia della convivenza?» chiede, sedendosi sul divano accanto a me.
«Beh, diciamo che mi hai preso alla sprovvista, ecco...»
«Non pensi a un futuro?» mi domanda mogia, abbassando lo sguardo. Le prendo il mento per far scontrare i nostri occhi.
«Certo che ci penso... non pensavo ci pensassi tu, in realtà... non in quei termini, ecco» ammetto.
«Non sarei pronta adesso alla convivenza, ovviamente. E forse nemmeno tra un anno o tra cinque, non lo so... ma so che prima di stare con te, pensavo solo a lasciare questa città. Pensavo alla fine delle superiori e all'opportunità di studiare fuori... ora, in effetti, non ci penso più. Ora Roma non mi sta più così stretta»
«Io sono disposto anche a trasferirmi» dico convinto. Perché sì, amo Roma, penso sia davvero la città più bella del mondo. Ma Sarah è casa mia. Sarah è famiglia. Sarah è futuro.
«Sì, chissà... non ne vedo più il motivo». La attiro a me, stringendola e coccolandola, inspirando tutto il suo profumo, che è diventato ormai un odore familiare, a cui non potrei rinunciare.