SARAH
Le parole di Letizia sono state la scossa definitiva che serviva a far crollare il castello costruito con Joseph nelle ultime settimane. Dopo lo scetticismo di mio padre e la gelosia di Simone, il discorso della mia migliore amica è riuscito a turbarmi definitivamente, rendendo ai miei occhi chiaro quanto il legame instaurato con lui sia sbagliato.
Gli interessi in comune ci hanno avvicinato. Le mancanze di Simone mi hanno spinta a cercare un rifugio, un conforto. Ma quelle di Simone non sono mai state vere mancanze. Ha degli impegni, l'università gli porta via tempo ed io non posso fargliene una colpa. In fondo, ho sempre visto qualcosa di sbagliato nel mio rapporto con il suo migliore amico. Da quel primo innocuo pranzo, ho sempre temuto la reazione di Simone, e non gli ho raccontato nulla. Non sono una che mente, non sono una che nasconde, eppure questo segreto l'ho mantenuto anche con la mia migliore amica. Perché?
Rimugino sulle ultime settimane mentre cammino verso la Sapienza. Voglio fare una sorpresa a Simone. Voglio chiedergli scusa, nonostante forse non ci sia nulla di cui scusarsi. Voglio fargli capire che ci sono, che lo amo, che voglio solo lui. Perché, nonostante l'ultimo periodo, Simone è davvero stato perfetto con me, in questi mesi. Attento, presente, comprensivo, interessato. Ha deciso di provarci, di non scappare, nonostante avesse davanti una ragazzina alla sua prima esperienza. Prima di lui, non avevo mai avuto un ragazzo. Prima di lui, mi limitavo a fantasticare su questo o quel cantante, su qualche attore o, raramente, su alcuni compagni di scuola più grandi.
Simone è stato il mio risveglio. Mi ha trascinata fuori dai miei sogni a occhi aperti e ha cominciato a farmi vivere davvero. Dovrei rinnegarlo? Per cosa? Per due settimane di amicizia con Jo? Non lo conosco nemmeno e non posso mettere in dubbio quattro mesi di relazione perché, per due settimane, mi sono sentita sola. Joseph ha solo riempito un vuoto, con i suoi silenzi confortanti e le sue parole sempre giuste. Forse troppo giuste, di tanto in tanto.
Arrivo nel cortile della facoltà che, come prevedibile, è pieno di gente. Studenti per lo più arenati sui prati, in questa pausa pranzo particolarmente calda. Alcuni ridono in gruppo, altri si nascondono sotto l'ombra di qualche albero a mangiare in solitaria, pochi fingono di ripassare qualche dispensa con un occhio aperto e uno chiuso. Sembrano tutti più rilassati rispetto ai miei compagni di scuola, che invece appaiono come zombie diretti al patibolo. Sogno l'università da anni. Sogno di andarmene da Roma e vivere un'esperienza lontana da casa, da adulta. Mi mancheranno i miei, probabilmente qualche notte piangerò, ma credo che l'esperienza universitaria sia il primo vero momento di crescita e voglio viverla tutta.
Mentre fantastico sul mio futuro, finalmente intravedo Simone. Già mi vedevo a cercarlo per i corridoi infiniti della facoltà, e invece eccolo lì, nella sua t-shirt troppo grande e quei jeans sempre strappati che non vuole buttare. Lo vedo gesticolare in modo animato, mentre di tanto in tanto si sistema il ciuffo. Sorrido, per quell'azione che ormai conosco a memoria e continuo ad avvicinarmi.
Cammino e mi accorgo che la discussione si fa sempre più accesa. È rosso in viso e riconosco il suo nervosismo, lo stesso nervosismo della scorsa notte. Un nervosismo che mi irrigidisce. Non vedo con chi discute, l'interlocutore è nascosto dall'albero, ma i gesti di Simone mi paralizzano. Torna l'ansia, torna la paura e tutti i discorsi fatti a me stessa per mandare via certi pensieri volano via come cenere al vento.
Respiro profondamente. Magari non è niente, è solo preso dalla conversazione. Deve essere così. Perché Simone non è questo, è quello che ho conosciuto in quattro mesi. È il ragazzo gentile e premuroso che ogni sera mi manda la buonanotte. Quasi ogni sera.
Riprendo a camminare, avvicinandomi sempre più a quell'albero. Chi nasconde? Con chi discute? Altri due passi e lo vedo: Joseph. Se possibile è più nervoso di Simone, gli occhi fuori dalle orbite. Sono sempre più vicini, naso contro naso. Qualcuno li osserva incuriosito, ma nessuno sembra voglia intromettersi.
«Perché non dici le cose come stanno? Perché non le dici la verità?» urla Jo a muso duro. Le mani strette a pugno, come se stesse lottando per non esagerare.
«Che succede?» intervengo io. La mia voce li risveglia, li scuote, li fa tornare alla realtà. Continuano a guardarsi, cominciando a respirare in sincrono.
«Niente» interviene subito Simone, suscitando una risatina amara nell'altro.
«Niente? Vi state scannando davanti a tutta la facoltà per niente?» insisto, incrociando le braccia al petto e provando a regolarizzare il respiro. Simone è di spalle e i miei occhi sono puntati su Joseph. «Allora?» ripeto, guardandolo dritto in faccia. Lui quasi mi sfida, poi riprende a sorridere appena scuotendo il capo e alzando le mani in segno di resa.
«Sai che c'è? Fattelo spiegare dal tuo ragazzo che succede» e va via, non prima di aver dato una spallata a Simone.
Il mio ragazzo ci mette qualche secondo per voltarsi verso di me e avvicinarsi come se niente fosse. Mi bacia dolcemente, mi stringe un po' e mi prende per mano, trascinandomi verso il primo muretto libero.
«Che sorpresa, che fai qui?» chiede sedendosi e invitandomi a sedermi su di lui. Non lo assecondo e mi pianto davanti a lui in piedi, dritta come un soldato.
«Che diavolo è appena successo?»
«Niente» ripete come fosse una preghiera.
«Come puoi dire niente se ti stavi scannando col tuo migliore amico?» alzo la voce, che diventa fastidiosamente acuta. Lui ridacchia.
«Migliore amico? Io non esco con la ragazza del mio migliore amico» ribatte tagliente. Sospiro.
«Non è successo nulla»
«Non mi importa!» sbotta. «Avete passato del tempo insieme»
«E sei così insicuro da non fidarti? Da vedere del marcio?»
«Se non ci fosse niente di marcio me l'avreste detto» mi accusa e le sue parole mi arrivano letali come una pugnalata.
Vorrei rispondere, ma per l'ennesima volta un groppo in gola me lo impedisce. Provo a calmarmi, provo a rimandare indietro le lacrime e a trovare le parole giuste per difendere qualcosa che nemmeno avrebbe bisogno di essere difesa, per proteggere quel rapporto che, nonostante le mie tante paranoie, è in realtà puro come l'ho sempre descritto. Provo a respirare.
Sto per aprire bocca quando una bionda, decisamente poco vestita per essere un lunedì mattina, travolge Simone, abbracciandolo e ignorandomi completamente.
«Simo! Ti ho cercato ovunque» squittisce. Sento il cuore pronto a uscirmi dal petto. Chi è questa? Perché il mio ragazzo la abbraccia come se non facesse altro ogni giorno?
«Scusa tesoro, avevo un attimo da fare» risponde lui tranquillo, continuando a stringerla senza nemmeno rivolgere lo sguardo verso di me.
Si perdono in una conversazione che davvero non mi interessa. Parlano di lezioni, di una festa a cui Simone non mi ha invitata, di una tizia che a quanto pare è incinta dell'assistente del professore. Passano dieci minuti, nessuno dei due stacca gli occhi dall'altro ed io mi sento di troppo. Mi sento fuori posto. Mi sento sbagliata.
Con gli occhi pieni di lacrime, decido di andare via senza salutare nessuno, senza provare a farmi notare, senza richiamarlo. Vado via, da sola con le mie lacrime.
Vado via correndo, voglio allontanarmi il prima possibile da loro, da questo cortile, dagli occhi degli altri studenti.
Corro a più non posso, uscendo definitivamente dal perimetro dell'ateneo e, appena svoltato l'angolo, mi accascio a terra dando libero sfogo ad ogni singhiozzo.