SARAH
L'ultima conversazione con Joseph mi ha tormentata tutto il giorno. Quando è sparito tra i vicoli trafficati della metro, sono rimasta per qualche minuto a guardare il vuoto prima di ridestarmi, tornare un po' in me e ricominciare a camminare. Ho anche provato a richiamarlo, per avere ulteriori spiegazioni sulle sue parole, ma il suo telefono era sempre staccato. Pensare che dopo quel confronto sia andato da Sofia mi provoca una fitta allo stomaco immotivata. Pensarli insieme mi fa venire i conati.
Come dopo ogni discussione, ho camminato per ore, circondata da turisti ignari del mio stato d'animo e romani rilassati per questa domenica di sole non troppo calda.
A un certo punto ero anche arrivata vicino casa di Letizia. In qualsiasi altro momento della mia vita l'avrei chiamata, per piangere con lei. E lei mi avrebbe ascoltata, avrebbe asciugato le mie lacrime e mi avrebbe abbracciata per ore. Pensare che forse non succederà più, mi infonde una strana malinconia. Sono dispiaciuta e sollevata, come se questo allontanamento in qualche modo mi alleggerisca. Strana malinconia, appunto, condita da una nostalgia verso un passato che rimarrà per sempre dentro di me ma che necessariamente dovevo superare.
È ormai pomeriggio inoltrato quando chiamo Simone e lo prego di venire da me. Come dicevo, la discussione con Joseph mi ha confusa e, finalmente, sono pronta per la verità. Qualsiasi essa sia.
Dalla mia chiamata passa poco più di mezz'ora. Il rumore squillante del citofono mi fa zillare e corro ad aprire la porta, trovandovi dietro un Simone fastidiosamente sorridente.
«Ciao bella topa» arriccio il naso schifata per quell'appellativo, ma decido di ignorarlo. Non è il momento di litigare per questa sua misoginia interiorizzata.
«Ciao» sospiro lasciandogli lo spazio per entrare. Aspetto che decida dove sedersi e poi lo imito, scegliendo per me una sedia diametralmente opposta al divano su cui si è lanciato lui.
«Tutto bene?» mi chiede, rollandosi una sigaretta.
«Non molto in realtà» borbotto, guardandolo con la coda dell'occhio. Lo vedo alzarsi e venire verso di me. Lecca la cartina, chiude la sigaretta e se la mette dietro un orecchio. Poi mi alza il mento con due dita e fissa i suoi occhi scuri nei miei.
«Che succede?»
«Succede che non ci sto capendo un cazzo, Simo'» ammetto affranta. Lui corruga leggermente la fronte, non capendo davvero il punto. «Prima ho visto Jo» azzardo e subito vedo i suoi occhi lampeggiare.
«Ancora, Sa'?»
«Calmati, non è come pensi. Ho visto Alice per colazione e dopo un po' ci hanno raggiunte lui e Azzurra. Non ne sapevo niente»
«Quella grandissima stronza di Alice» si lamenta tra sé.
«Non è mica colpa sua. E, comunque, non è questo il punto» taglio corto mentre lui si sfrega le mani frenetico.
«E quale sarebbe questo punto?»
«Mi nascondi qualcosa?» chiedo, senza rispondere alla sua domanda.
«Ti ha detto qualcosa Joseph?» I suoi occhi, mentre a stento questa domanda gli esce dalla bocca, sembrano terrorizzati. Ha il fiato corto e continua a deglutire a fatica.
«C'è qualcosa da dire?»
«No, niente. Ma a quanto pare tu vuoi sapere qualcosa...» Questo tiro alla fune di frasi dette a metà non porterà a nulla, se non a farlo chiudere e a far chiudere anche me. Devo essere chiara, o non avrò mai risposte concrete.
«Mi ha detto che non state litigando per la tua gelosia. Che tu non sei affatto geloso, che in realtà c'è altro»
«Altro... tipo?»
«Non lo so... mi ha detto di chiedere a te e di decidere poi a chi credere. Dimmi la verità, ti prego» lo imploro, con gli occhi improvvisamente pieni di lacrime. Non voglio più giocare, non voglio più fare quella forte e sicura di sé. Voglio solo la verità. Penso di meritare la verità.
«Quindi tu mi hai chiamato e mi hai fatto correre qua di corsa perché pensi che ti stia nascondendo qualcosa? Stiamo insieme da mesi e preferisci fidarti di lui, credere a lui...»
«Non ho mai detto che gli credo. Voglio la verità»
«Te l'ho detta» urla. «Te l'ho detta e ripetuta eppure a te servono altre conferme. Sono mesi che ti aspetto e ti assecondo. Mesi che ti vengo incontro nonostante abbia anche io delle esigenze fisiche. Mesi che ti amo, che ti aiuto. E sono anni che aiuto lui, lo supporto, lo sprono. Ti sta manipolando e nemmeno te ne rendi conto. È bravo a sembrare interessato alle persone e a far passare me per lo stronzo. Ti sta mettendo in testa idee assurde solo per averti e manco lo capisci»
Le mie lacrime ormai viaggiano incontrollate. Vorrei rispondere, vorrei parlare, ma ogni parola mi muore in gola. Che dovrei dirgli? È tutto giusto ciò che ha detto. È tutto vero. Mi ha amata, mi ha aspettata, mi ha rispettata e io, per due problemi stupidi, l'ho messo in dubbio. Forse sono io a non meritare Simone. Sono io quella sbagliata. Le parole di Joseph mi hanno confusa e mi hanno fatto mettere in discussione un rapporto perfetto. Mi hanno fatto dubitare di Simone, e non se lo merita. Perché per me c'è sempre stato.
Il suo sguardo disilluso mi distrugge. Vorrebbe da me conferme che non riesco a dargli. Gli credo, davvero, ma non riesco a dirlo. La sua delusione quando mi saluta con un bacio tra i capelli e sparisce oltre la porta mi distrugge. Dovrei fermarlo, ma sono paralizzata su questa sedia.
Passano minuti eterni prima che io riesca a scuotermi. Prendo l'iPhone e apro Whatsapp.
Un messaggio breve, che non avrei mai voluto mandare. Un messaggio necessario, perché la mia storia è più importante di un'amicizia appena nata.
- Simone è geloso. Non possiamo più vederci –
Invio e spengo il telefono. Non voglio una risposta, che sono certa non arriverebbe comunque. Mi ha detto di scegliere a chi credere e ho scelto. Ho scelto Simone.