SARAH
Dopo aver pranzato ed esserci fatti portare due caffè dal bar di fronte, abbiamo ripreso a lavorare. O meglio, lui ha ripreso a lavorare e io sono stata due ore a girare tra gli scaffali, leggere qualche pagina qua e là e, senza farmi notare, guardarlo. Lui, sempre schivo e taciturno, con i clienti sembra diventare un'altra persona. Quando parla di libri è appassionato, quasi euforico mentre consiglia questo o quel testo. E le persone lo ascoltano, quasi adoranti.
«Sarah, anche oggi qua» mi saluta Azzurra, entrando. Non è un giudizio, il suo, ma piuttosto una sorpresa. Mi sorride e mi saluta con un abbraccio veloce.
«Sì... io...». Sono impacciata, nervosa. Perché lei non mi giudica, ne sono certa, ma rimane un'amica di Simone. E Simone non sa niente.
«Non devi giustificarti». Abbasso lo sguardo, in imbarazzo. «Credo nell'amicizia tra uomo e donna, e credo che un amico come Jo serva a chiunque» mi tranquillizza. Le sorrido, sperando davvero che abbia capito motivazioni che forse non so nemmeno spiegare. Mentre il grande e vintage orologio a cucù dietro la cassa segna le cinque, Joseph batte l'ultimo scontrino, congeda il cliente con un sorriso e viene verso di noi. Ha finito il turno.
«Zazi» la chiama, con quel nomignolo con cui le si rivolge sempre, «ho sistemato tutti i nuovi arrivi, ma devi ordinare qualche copia in più de "La maledizione dell'erede" perché sono venuti in dieci a chiedermela solo stamattina». Lei sbuffa sconfitta.
«Quel libro del demonio non dovrebbe nemmeno esistere» si lamenta e io non posso che darle ragione. Lui ridacchia, mentre la sprona a non giudicare i gusti dei lettori. «Sei sempre così politicamente corretto» lo schernisce.
«No, solo mi piace vendere libri. Sai com'è...» ribatte ridendo. Qualche altra battuta e la salutiamo. Vado spedita verso il bar, ma lui mi ferma.
«Ti va di andare in un altro posto?» annuisco e lo seguo verso la macchina. Salgo e, senza fare domande, inizio ad armeggiare con la radio, mentre lui guida tranquillo uscendo dal traffico di Roma.
«Ho dimenticato a casa il giubbotto» mi ricordo e lo sussurro, scusandomi.
«Non importa, ne ho altri» risponde pacato. Dopo circa mezz'ora arriviamo in un parcheggio mezzo vuoto, davanti a quello che sembra un parco. Scendo dall'auto e lo seguo. «Questo è il mio posto preferito» spiega facendomi strada. Varcata la soglia, ci si immerge in un mondo che non sembra nemmeno quello in cui viviamo. Alberi curati, a cui hanno attaccato fili di luci che, ne sono certa, di sera creano un'atmosfera magica. Non c'è nulla. Solo alberi e luci, per almeno dieci minuti di sentiero. Una passeggiata dorata che ricorda quella del Mago di Oz. Finito il sentiero, si arriva a un bar totalmente in legno, con pochi tavolini fuori. Sembra una casetta nel bosco, come si vedono nei cartoni animati. Mi fa strada, ed entrando sembra davvero di stare in una fiaba. Anche dentro ci sono pochi tavoli e una marea di libri sparsi su vari scaffali.
Ci accoglie una signora di mezz'età, vestita come la locandiera di un fantasy, che saluta Joseph come se lo conoscesse da sempre.
«È un po' che non ti fai vedere» lo rimprovera bonariamente. Lui annuisce.
«Lo so, scusa, ma tra università e lavoro non ho avuto molto tempo libero» si giustifica. La donna, poi, guarda me con vivo entusiasmo.
«E questa bellissima ragazza chi è?»
«Sarah, piacere» mi presento allungando la mano che lei subito stringe prima di attirarmi a sé in un abbraccio confortante e familiare.
«Sarah, ma come sei bella! Io sono Adele, una specie di zia...» spiega. Annuisco al "specie" ma non faccio domande. Adele ci fa accomodare a un tavolo appartato, per quanto si possa stare appartati in un posto così piccolo, e ci informa che preparerà lei qualcosa di buono da mangiare.