SARAH
Non so cosa sarebbe successo se Joseph avesse risposto alla mia chiamata, sabato notte. Ero preda di una vera crisi di panico, i singhiozzi quasi non mi facevano respirare, le lacrime continuavano a scendere e per calmarmi mi ci è voluta più di mezz'ora, passata da sola nel sottoscala del mio palazzo, vicino alle cantine. Noi abitiamo al piano terra, non sapevo dove nascondermi e quell'anfratto buio era la mia unica via di fuga per evitare di svegliare mia madre.
Comunque, non ha risposto, ed io mi sono calmata da sola, provando a respirare mentre leggevo articoli su come far passare un attacco di panico.
Non ha risposto, perché probabilmente era con Sofia. Quel pensiero mi stringe lo stomaco da due giorni. Ho passato la domenica a letto, fingendo un mal di testa lancinante e un virus intestinale inesistente. Mia madre non ha fatto troppe domande, pensando solo a un'indigestione. Mi ha preparato un po' di riso in bianco per pranzo, che non ho nemmeno toccato, e una fettina di pollo a cena.
Joseph ha provato a chiamarmi quindici volte, prima che io spegnessi il telefono e mi rifugiassi al sicuro nel buio del mio piumone.
Lunedì mattina, quando apro gli occhi, è l'alba. Mi rigiro nel letto, facendo i conti con la prospettiva di dover andare a scuola. Non ne ho voglia, ma cominciare a collezionare assenze non mi sembra una scelta saggia, in vista della maturità.
Prendo dal comodino il cellulare e lo riaccendo dopo quasi ventiquattro ore. Di Simone nessuna traccia. Jo, al contrario, ha provato a chiamarmi altre dieci volte, prima di cominciare a riempirmi di messaggi. Li leggo svogliata ma non rispondo. Che dovrei dirgli? Se gli raccontassi ciò che è successo, se gli dicessi perché lo stavo chiamando quella notte, creerei il panico.
Sbuffo e rimetto il telefono sul comodino, prima di alzarmi e iniziare a prepararmi per la scuola. Ho due occhiaie così scure, che difficilmente riuscirò a coprirle con il fondotinta leggero che uso. Nelle ultime due notti ho dormito poco, troppo impegnata a rivivere quei momenti con Simone che mi hanno perseguitata anche nelle poche ore di sonno.
Dovrei lasciarlo? Letizia direbbe di sì, così come mia madre.
Forse, al contrario, dovrei comprenderlo. L'uomo è un animale, ha degli impulsi che potrebbero diventare difficili da controllare. E Simone, da quando stiamo insieme, non mi ha mai fatto pressioni di alcun genere. Non fa sesso da quasi quattro mesi e sabato è stata una serata pesante, vista la lite e tutto il resto. È esploso, non è riuscito a gestire la pressione. Capita. Non mi ha fatto niente, comunque. È riuscito a fermarsi.
Se una femminista leggesse i miei pensieri mi coprirebbe di insulti. Ma, in fondo, posso davvero giudicare Simone da un singolo momento sbagliato, quando per mesi è stato perfetto con me? No, non voglio. Ha sbagliato, lo sa anche lui.
Finisco di vestirmi e lo chiamo.
«Buongiorno principessa» risponde raggiante. Sorrido appena, un po' infastidita dalla sua euforia. «Stamattina sono carichissimo»
«Beato te» mugugno, aspettando il caffè. Mamma è già uscita, come apprendo dal bigliettino stropicciato che mi ha lasciato sul tavolo della cucina.
«Che hai? Passato una brutta domenica?» Sospiro.
«Lo sapresti, se ti fossi fatto sentire»
«Sì, beh... ieri è stata una giornata delirante finita con una cena pallosissima dai miei. Tu? Come hai passato la domenica?» Già, i suoi... quelli che non ha mai voluto presentarmi.
«A letto» dico telegrafica.
«Il modo migliore» sentenzia lui senza preoccuparsi del perché. «Ora scappo, ci sentiamo» aggiunge chiudendo la chiamata. Forse l'ho davvero idealizzato.