JOSEPH
Quando arriviamo nei pressi della locanda di Adele, immersa in un bosco che ti fa dimenticare di essere a Roma, ci fermiamo in silenzio ad osservarla. Ormai è buio pesto, nonostante siano appena le sei di pomeriggio, e le lucine che ha appeso tra gli alberi creano un'atmosfera magica.
La locanda, costruita secondo il modello di quelle che si leggono nei fantasy o nelle storie medievali, è isolata e poco conosciuta, attirando per lo più amanti del genere. E lei, in quel genere, ci vive benissimo, con i suoi vestiti d'epoca, i suoi grembiuloni e i capelli sempre raccolti in una crocchia composta.
La guardiamo in disparte, mentre pulisce il piazzale con una scopa di saggina che non fa mai entrare all'interno, e svuota qualche portacenere poggiato qui e là. Ormai il freddo non permette più tavoli esterni, così ha deciso di lasciare fuori solo la grande botte in legno per i fumatori più temerari.
Stringo la mano di Sarah, mentre una strana tensione mi travolge. Non ho mai presentato una mia ragazza ad Adele. Non le avevo presentato mai nessuno, in effetti, e Sarah la conosce già, eppure portarla qui come mia ragazza mi innervosisce, nonostante credo che la donna avesse capito ben prima di me i miei sentimenti.
«Sei nervoso?» mi sussurra lei in un orecchio. Mi conforta sapere quanto mi comprenda anche da una semplice stretta di mano.
«Tu non eri nervosa quando mi hai presentato tua madre?»
«Tu conosci mia madre da mesi... e, comunque, no... ti adora in modo a tratti stucchevole» ci scherza su, riuscendo a farmi rilassare un po'.
«Lei è come una madre per me» ammetto. Mi sorride dolcemente, accarezzandomi una guancia infreddolita con la sua piccola e morbida mano.
«Lo so... e credo di piacerle» si vanta appena. Annuisco convinto perché, sì, Adele adora Sarah, e poi torno a stringerle la mano, riprendendo il sentiero verso la locanda.
«Oh, qual buon vento» ci accoglie. Io le sorrido, ricambiando il suo, e, arrivato a poca distanza, la abbraccio. Lei ricambia, con quel suo fare materno che tante volte mi ha aiutato da bambino, poi si concentra su Sarah. «Che bello rivederti» le dice, lasciandole un pizzicotto affettuoso sulla gota rossa.
«Anche per me, tantissimo» afferma.
«Dai, venite dentro, vi preparo una tisana». Ci invita e subito il calore del camino ci avvolge. «Cosa vi porta qui?» chiede, mentre mette l'acqua sul fuoco.
Io sorrido imbarazzato e, senza rispondere a parole, le mostre le nostre mani intrecciate. Lei, che mai è stata una troppo espansiva, si apre in un sorriso commosso, invitando entrambi tra le sue braccia minute.
«Sono così felice per te... per voi...» ammette, soffocando un singhiozzo.
«Non volevo farti piangere» quasi mi scuso.
«Oh, sta zitto! Piango di gioia... e sono anche un po' sollevata, non pensavo avresti trovato mai l'anima gemella» confessa ridendo. Io alzo gli occhi al cielo, platealmente e fintamente infastidito, poi mi volto verso Sarah, sperando che quest'ultima affrettata affermazione sullo stato della nostra storia non l'abbia spaventata troppo. Insomma, le ho detto che la amo, ma sentire la persona più vicina a una madre che ho, parlare di anima gemella potrebbe terrorizzarla!
Lei non sembra infastidita, comunque, anzi, ride di gusto alle battute sguaiate e tipicamente romane di Adele che, con poco garbo, ci spinge verso il primo tavolino disponibile, preparando un piatto abbondante di biscotti al burro fatti da lei.
«Allora, volete raccontarmi o devo cavarvi le parole di bocca con le tenaglie?» ci ammonisce Adele raggiungendoci al tavolo con la teiera fumante in mano. Riempie due tazze, ci avvicina un po' di cristalli di zucchero e si accomoda ben bene sulla sedia, pronta all'ascolto.
«È stato tutto...» comincio io, cercando le parole migliori per descrivere gli ultimi giorni.
«Improvviso» mi viene in soccorso Sarah.
«Sì... diciamo improvviso...» riprendo e poi, come un fiume in piena, le racconto sognante ogni momento, ogni emozione, ogni lacrima e ogni sorriso, mentre Sarah annuisce e mi stringe la mano. Adele ci guarda, fiera e contenta, ed io capisco quanto questa donna tenga a me, quanto davvero sia una madre migliore di quella che la biologia mi aveva scelto.
***
«Visto? Eri tanto preoccupato...» mi prende bonariamente in giro Sarah, sistemandomi il ciuffo, scompigliato dal vento.
«È che... non lo so, a volte l'ansia mi paralizza» ammetto.
«Pensavi non le sarei piaciuta? Non l'avrebbe presa bene?»
«No, ma va... ho visto come ti ha trattata l'altra volta. E poi, non devi mica piacere a lei... ma, boh... non le controlli, certe paure... poi che ne so, metti che faceva qualche battutaccia che ti avrebbe fatto scappare?» Si avvicina, infilando le braccia sotto il mio cappotto e legandole intorno a me. Mi guarda negli occhi, lasciandomi poi ripetuti baci sulla guancia.
«Perché hai così paura?»
«Non lo so nemmeno io... non mi sembra reale, ancora»
«Ma lo è... io sono qui, con te. E voglio stare qui, con te» afferma sicura, portando le labbra sulle mie.
Forse sono uno sciocco. Lei ha scelto me, vuole me, sta con me. La verità è che sono rimasto fregato troppe volte, nella vita. Spesso, è stata proprio la vita a fregarmi, tanto da convincermi di non meritare nulla. Sono nato in una famiglia tossica e disfunzionale, che non mi ha mai voluto. Ho avuto pochi amici, perché nessun bambino, a dieci anni, vuole fare amicizia col figlio dei drogati. Non sono mai stato fortunato nemmeno in amore: Sofia è stata solo l'ultima di una lunga lista di stronze che hanno accompagnato la mia crescita. Non mi hanno fatto così tanto male, comunque, perché di nessuna mi importava davvero.
Ma Sarah... con lei è tutto diverso, è tutto nuovo, è tutto bellissimo e spaventoso. Ho paura di perderla e ho paura di spaventarla. Perché le mie ansie esistono, mi accompagnano e se, scoprendole, volesse scappare, non la giudicherei. Non la incolperei. Sarah è il sole. È il mio sole. E se io fossi il suo Icaro?