Capitolo 44

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JOSEPH

«Sarah, siamo a casa». L'urlo di Monica si fa spazio nella stanza e io e Sarah ci alziamo di scatto dal letto, sistemandoci un po' e raggiungendo i genitori in salotto. Li vediamo sorridenti e carichi di bagagli, che subito mi fiondo a togliergli di mano. «Il viaggio della speranza» si lamenta la donna, sospirando.

«Avete trovato traffico?» chiedo.

«Verso Firenze siamo stati fermi due ore. Pensavamo di non trovarne, abbiamo ritardato di un giorno il rientro per questo, ma a quanto pare molti hanno pensato lo stesso»

«Amore, ti ho detto già che in giro oggi, oltre ai vacanzieri, c'è pure la gente che lavora. È il sette gennaio, la vita è ricominciata» la ammonisce bonariamente Vittorio mentre lei sbuffa. Sarah ridacchia guardandoli, mentre i suoi occhi si addolciscono davanti a tutto l'amore che emanano.

«Voi come state?» chiede poi la donna.

«Quella di greco ha già ripreso a rompere le palle ma tutto ok» comincia a raccontare andando verso la cucina per accendere il forno. È quasi ora di cena e, immaginando l'orario di arrivo, abbiamo preparato una pasta al forno così da scaldarla quando sarebbero tornati. Io apparecchio e nel giro di un quarto d'ora siamo tutti a tavola.

«Com'è andato il Capodanno?» Sorrido alla domanda di Vittorio e Sarah mi dà un calcetto sotto il tavolo.

«Benissimo» risponde subito. «Lui è rimasto a casa»

«Come mai?» chiedono in coro e lei mi guarda, lasciando a me la decisione su cosa dire.

«Una piccola discussione di coppia. Sono un coglione» ammetto senza problemi.

«Diciamo che la colpa è nel mezzo» aggiunge lei, prendendomi la mano. «Io sono troppo invadente e a lui non piace parlare... dobbiamo trovare un equilibrio che vada bene a entrambi»

«Nemmeno a me piace parlare... ma con queste due è praticamente impossibile» mi conforta Vittorio e io sorrido comprensivo.

«Oggi comunque ho iniziato la terapia» racconto. Con loro mi viene così naturale aprirmi, che a volte mi fa paura. Perché rimangono i genitori di Sarah e se mai dovesse finire, perderò anche loro. Affezionarmi tanto forse non è saggio, ma non è qualcosa che si controlla.

«Bravo!» Lo sguardo di Monica è pieno di affetto e di orgoglio. Un orgoglio materno che mi riempie di gioia e che inorgoglisce anche me, facendomi sentire fiero. Facendomi sentire giusto.

«Ti sei trovato bene?»

«Per adesso sì... ma la dottoressa mi ha detto che posso cambiare quando voglio, se non va... dice che la scelta dello psicologo è importante e va ponderata, e nessuno si offende se non dovesse andare»

«E com'è questa dottoressa?» chiede Sarah curiosa. Quando sono tornato dalla seduta, mi ha chiesto della terapia, di come stessi, delle mie impressioni. Ora, entrambi più leggeri, sta venendo fuori forse un po' di... gelosia? La guardo ridendo e scuoto il capo. «Che c'è? Ho solo chiesto» si difende subito.

«È una signora sulla cinquantina abbondante»

«Sì, beh... Jennifer Lopez ha cinquantaquattro anni... sii più specifico, per favore» e stavolta ridiamo tutti, tranne lei che mette su il broncio e incrocia le braccia al petto.

«Sì, beh, non mi interessa» dico sicuro.

«Sì, certo...»

«Oh, ma che hai?» Pensavo scherzasse, invece sembra davvero infastidita. Anche i genitori la guardano straniti perché lei non è mai stata gelosa. Mi avvicino e la costringo a guardarmi. «Allora?»

«Niente, è solo che... non lo so ho letto una storia di merda prima e mi sta prendendo il panico» quasi urla, vicina alle lacrime.

«Che storia?»

«Di un tipo che ha mollato la fidanzata per la sua dottoressa... la sua ortopedica, ma comunque il succo non cambia». Provo a trattenere la risata, cosa che invece a Vittorio non riesce. Sarah guarda il padre con due occhi che sembrano fessure e Monica lo redarguisce con un buffetto leggero sul braccio.

«Scusa, ovolina, scusa...»

«Scusa un corno! Quanta gente viene mollata ogni giorno?»

«Amore di papà, ma questa è la vita. Non deve mica succedere anche a te»

«Sì, ma potrebbe succedere» urla, alzandosi da tavola e correndo in camera. Sentiamo la porta sbattere e io guardo imbarazzato Monica e Vittorio, senza sapere bene cosa dire.

«Sicuro vada tutto bene?»

«Giuro che fino a dieci minuti fa eravamo tranquilli» sostengo. Poi mi alzo, scusandomi e raggiungendo Sarah, sdraiata sul letto a pancia in giù, travolta dai singhiozzi.

«Ehi, mi dici che succede?» le sussurro, sedendomi accanto a lei e accarezzandole la schiena. Prova a fermare il pianto e si asciuga gli occhi.

«Non lo so... sono nervosa»

«Ma così, di botto? Che cosa ti ha innervosita? Me lo spieghi?» Mi allungo accanto a lei e la prendo tra le braccia.

«È che a volte mi sento così piccola... così insignificante vicino a te. Perché stai con me? Sei circondato da ragazze bellissime, sei sempre stato con ragazze bellissime. Che c'entro io?» Sospiro e la stringo ancora di più. «Prima ho visto un po' di ragazze che mettono like alle tue foto» ammette in un sussurro impercettibile.

«Anche tu sei bellissima»

«Non prendermi in giro»

«Non ti prendo in giro» dico serio. «Sei bellissima. E sto con te perché ti amo. E te lo dirò ogni volta che arriverà qualche insicurezza. Te lo dirò ogni giorno, se necessario. Io ti amo e per me sei la più bella dell'universo»

«Non essere smielato» dice arricciando il naso. «Non posso crederci se esageri così»

«Perché no? Pensi che la bellezza sia oggettiva? La bellezza non è solo un bel corpo. La bellezza esteriore non vale nulla»

«Quindi non sono bella?» Ridacchio per l'ovvietà di quella domanda.

«Certo che sei bella... ma non è questo il punto. Non ti amo perché sei bella... mi fai così superficiale? È quello che hai dentro, che mi fotte. È come mi guardi, come parli con me anche quando non voglio parlare. Come discutiamo e come vuoi risolvere sempre. Come mi tocchi, come ti prendi cura di me e come lasci che io mi prenda cura di te. È come stai con le persone, come le ascolti. È come leggi un libro, talmente tanto assorta da non sentire nulla di ciò che accade intorno a te. È come gioisci per ogni cosa, la leggerezza con cui prendi la vita. È la tua testardaggine. Sei tu... solo tu...»

«Tu sei troppo bravo con le parole... e menomale che non ti piace parlare» afferma ridendo.

«Sai cosa? Spiegarti perché ti amo mi viene maledettamente facile. È l'unica cosa chiara della mia vita. L'unica cosa semplice. Amarti mi rende leggero...»

«Perché a te non vengono mai paranoie?»

«E chi lo dice? A me vengono ogni giorno... ma, sai com'è... mi piace poco parlare» sorrido toccandole il naso col mio e facendo ridere ancora anche lei. «Torniamo di là? Ai tuoi stava per venire un colpo»

«A volte sono una cogliona...»

«Sì, ma amo anche questo di te» confesso, le lascio un ultimo bacio, le asciugo un po' gli occhi e la trascino verso la zona giorno della casa. 

Sai di nuvola // HoldarahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora