Anna

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Anna odiava e amava la sua famiglia.
La odiava perché erano le uniche persone che riuscissero a farla sentire insignificante. Una nullità.
Odiava che bastassero poche parole o minimi atteggiamenti che la facessero piangere, disperata chiedendosi perché la trattassero in quel modo.
Erano proprio i suoi genitori in primis, a farla sentire sempre sbagliata.
Eppure, lei li amava.
Un rapporto tossico le aveva detto una volta la sua psicologa.
Lei non ci credeva
Li amava alla follia, nonostante a volte si sentisse incompresa e ferita.
Come quella volta che era tornata da casa di Sofia, entusiasta di quelle parole che le aveva detto e aveva esordito ai suoi genitori: "sapete, stavamo parlando di quanto fossi pesante..." la frase nella sua testa proseguiva con -e in realtà se la gente ci tiene, non risulti pesante..-
Ma purtroppo Anna non aveva potuto concludere la frase che suo padre si era intromesso.
"Si, Anna ogni tanto risulti pesante quando chiedi e richiedi conferma sulla stessa cosa e poi ci ritorni..."
Anna aveva smesso di ascoltare.
Si era chiusa nel silenzio e si era maledetta di aver tirato fuori il discorso.
Aveva sentito formarsi il gruppo in gola e aveva fatto di tutto perché i suoi genitori non notassero che era sul punto di piangere.
Aveva detto che doveva andare in bagno, aveva sorriso e lentamente poi si era chiusa nella stanza.
Si era seduta sul wc e aveva cercato di tranquillizzarsi.
Si era ripetuta le parole di Sofia in testa come un mantra.
Si era asciugata le lacrime.
Si era sciacquata il viso e poi aveva provato il sorriso più volte allo specchio finché non fosse stata sicura di ingannare tutti.
Si era tagliata? Anna non voleva.
Non voleva più farlo.
Poi era uscita e aveva ridacchiato come se nulla fosse successo.
Ecco quello che succedeva, un rito che ormai non destava più scalpore nella mente della ragazza.
Eppure li amava, sapeva che era una figlia difficile da gestire.
Che con la sua malattia dava tanti problemi e preoccupazioni a delle persone che ce la stavano mettendo tutta. Che le avevano dato tutto eppure qualcosa non le avevano dato, lei diceva.
Qualcosa sicuro, per farle avere quei traumi, qualcosa evidentemente era andato storto.
Le aspettative lei diceva: lei aveva sempre dovuto combattere contro quelle.
Contro i traguardi che i suoi genitori le mettevano, sempre più alti: "salta" dicevano, "salta più in alto"
Così Anna si immaginava la cosa.
La sua infanzia era un continuo dimostrare di essere perfetta.
Di essere brava, più brava.
Di chi?
Di tutti, di suo fratello.
Anna, amava suo fratello, ma a volte se si fermava a riflettere, vedeva quanto lui fosse visto mentre lei era sempre rimasta nella sua ombra.
Un ombra di un ragazzo bravo, studioso, che riusciva a soddisfare tutti mentre lei invece, dietro, che arrancava.
Con fatica stava dietro alle aspettative della sua famiglia.
Era sempre suo fratello quello bravo, quello che studiava, quello che soffriva, quello che faticava.
Nessuno sembrava mai essersi davvero preoccupato di Anna, nessuno si era mai davvero accorto di lei.
Era invisibile.
E lei alla fine si era rassegnata a non essere mai vista davvero da nessuno. A passare in osservato, ad essere mediocre, mai davvero al livello delle aspettative altrui.
Non sarebbe mai stata abbastanza per nessuno, per la sua famiglia. Nessuno l'avrebbe mai elogiata come tutti elogiavano suo fratello.
Sarebbe sempre stata la seconda, quella che non studiava mai tanto quanto suo fratello, quella che non era mai brava quanto sul fratello.
Non era all'altezza, si diceva.
Eppure Anna non aveva mai ceduto, aveva continuato a cercare di dimostrare al mondo che anche lei era brava.
Ma la perfezione non esiste e Anna inseguiva un sogno irrealizzabile.
Sognava qualcosa di impossibile, perché lo sognava?
Perché era convinta che se fosse stata perfetta finalmente qualcuno l'avrebbe notata e l'avrebbe amata.
Si sarebbe preso cura di lei.
Non pensava che qualcuno potesse davvero considerarla se non fosse stata perfetta.
Così pensava perché così le avevano insegnato.

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