Anna

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Anna aveva davvero trovato un altro, un ragazzo semplice, delicato, dolce.

Nulla a che vedere con Lorenzo. Ma in qualche modo doveva andare avanti.

Doveva trovare un modo per lasciarlo andare.

Non poteva tollerare che Lorenzo avesse decine di ragazze che gli giravano attorno e lei, bella com'era, invece, non riuscisse mai a trovare qualcuno all'altezza. O forse qualcuno che non scappasse appena vedeva di cosa fosse capace.

Si ricordava ancora quando sua nonna le aveva gridato che i tatuaggi le avrebbero rovinato la pelle per sempre.

Anna l'aveva guardata, lo sguardo che si era fatto dolce. Le avrebbe voluto dire: "nonna, vuoi vedere le mie braccia? I tatuaggi almeno sono scuri e non rossi"

Sapeva che in quel modo avrebbe ferito tutti, così se ne era stata zitta e aveva annuito solo. Come ormai faceva sempre.

Nessuno poteva davvero dire di conoscere Anna.

Solo forse rare persone che avevano avuto la fortuna di avere dei piccoli scorci sulla ragazza attraverso quello che lei scriveva.

Le sue poesie, le sue prose, i suoi racconti: in fondo se qualcuno prestava sufficiente attenzione parlavano di lei.

Della sua vita, ma soprattutto del suo immenso dolore.

C'era una persona che sapeva tante cose: il parroco della sua chiesa.

Per Anna, era ormai un amico intimo. Gli raccontava tutto.

Non aveva paura del suo giudizio anzi, voleva sapere cosa lui avesse da dirle, le dava sempre molta speranza, era un buon motivo per rimanere in vita, si ricordava.

Anna chiacchierava con questo nuovo amico, così ancora definiva Giacomo.

Non riusciva a non paragonare tutto di lui a Lorenzo.

Lorenzo era più solare, Lorenzo leggeva questo, Lorenzo guardava quello...Lorenzo ovunque.

E la sera Anna era disperata, perchè seppur Giacomo fosse un bravo ragazzo, non era Lorenzo. E lei voleva solo lui.

Non è vero, si diceva, lei voleva dimenticarlo. Con tutta se stessa e pregava la notte, che il mattino dopo, lei, non avesse più nessun sentimento per Lorenzo.

Che se lo fosse dimenticato.

Che fosse di nuovo felice.

Ma la mattina era una routine come sempre, si alzava stanca, sapeva che iniziava la sua battaglia della giornata. Sapeva che doveva studiare nonostante fosse estenuata, doveva pensare a come bruciare sufficienti calorie e doveva valutare attentamente cosa mangiare.

Non voleva più tagliarsi, si segnava i giorni che passava da sobria. Era in riabilitazione, era un percorso duro, si riteneva un po ' un alcolizzata che aveva deciso di smettere di bere.

Vedeva la tentazione ma la ignorava.

Aveva detto basta.

Ogni tanto si fermava e meditava sui ricordi, si chiedeva se per Lorenzo fossero state solo banali serate. Normali.

Sicuramente, si rispondeva. Tanto lui scopava con chiunque, lei era stata solo una in più. Nulla di più.

Rideva e poi piangeva. Sentiva i sensi di colpa invaderla. Si sentiva una stupida.

Una stupida illusa che non riusciva a togliersi dalla testa un idiota che l'aveva solo usata.

Eppure poi pensava "ma quella volta che mi ha abbracciato mentre piangevo? Quando mi ha chiamato perché ero in panico? O quella sera che si era offerto di rimanere a dormire perché ero in ansia per l'esame?"

Scuoteva il capo, non riusciva a darsi pace, a trovare una soluzione né una risposta a quelle domande che avevano fatto sembrare il ragazzo interessato davvero a lei.

Poi guardava l'ora e si malediceva.

Doveva studiare.

Studiare.

Odiava la sua vita soprattutto perchè doveva sempre studiare. Non si ricordava un giorno in cui non avesse dovuto fare qualcosa.

Aveva passato una vita a fare la brava bambina: sempre perfetta, mai una cosa fuori posto.

Aveva cercato di rendere orgogliosi tutti, ma se si fermava a pensare un attimo di troppo si rendeva conto di aver vissuto una vita non per se stessa, ma per gli altri.

Cosi smetteva subito di pensarci e diceva che era fortunata, aveva tutto quello che poteva desiderare.

Ah si? le chiedeva una voce.

Sei felice per caso? le domandava

Anna rimaneva interdetta.

Non sapeva come rispondere perchè effettivamente lei felice non era.

Ma poi si scrollava di dosso quella sensazione, dicendo che, quando sarebbe andata a lavorare le cose sarebbero cambiate, sarebbe stata felice di diventare medico.

Era la sua unica speranza: poter aiutare le persone.

L'aveva scoperto al liceo, quando aveva toccato il fondo e non sapendo come rialzarsi era andata a fare volontariato nella mensa della parrocchia.

Aveva scoperto in parte il valore del cibo, ma soprattutto quando aiutava le persone, non pensava.

Era libera.

Solo lei, si rendeva utile.

Dava un senso e uno scopo alla sua vita.

Così aveva capito che se avesse dovuto vivere tutta la vita con quella malattia, che ti divora da dentro il cervello, allora almeno avrebbe voluto fare qualcosa che la teneva impegnata per tutta la giornata, che le annebbiasse la mente.
Quindi aveva deciso di iscriversi a medicina.

Ma poi non aveva previsto la fatica che avrebbe dovuto fare per rimanere al passo con lo studio mentre combatteva una battaglia invisibile.

Non aveva considerato che non sarebbe uscita tanto facilmente dall'anoressia.

Forse un giorno...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora