Era mezzogiorno quando arrivai al dormitorio e mi sentivo esausta. C'era una parte di me che avrebbe voluto restare nel letto per fare un pisolino, ma avevo lezione il giorno seguente e tonnellate di lavoro da completare.
Avevo bisogno di rivedere i miei appunti della lezione di letteratura e magari riscriverli ordinatamente, facendo in modo che tutto fosse ordinato e organizzato.
Alcune ciocche di capelli mi caddero davanti al mio volto mentre sfogliavo il mio block notes, sbuffai, slegandomi la crocchia fatta stamattina e mi feci una coda di cavallo.
Trascinai il dito sotto le parole che avevo scritto disordinatamente, facendo più attenzione alle parole che avevo cerchiato in rosso. Sia io, che mio padre e mia madre avevamo una scrittura quasi impossibile da leggere. Lettere frastagliate e rapidamente annotate di mio padre che ricoprivano carte su carte già piene di scritte e poi c'era mia madre con una scrittura tortuosa e metà in corsivo che usava quando prendeva atto dei generi alimentari che avevamo bisogno o che usava sui post it per dirmi che avrebbe fatto mezza giornata o che sarebbe andata lei a prendere Jake.
In qualche modo riuscii a decifrare la mia scrittura e a trascrivere gli appunti, la mia calligrafia era più ordinata rispetto a quella di mia madre.
Quel ricordo mi fece quasi sorridere istintivamente mentre impilavo insieme i miei appunti, pensando di portarli con me quando sarei andata in biblioteca. Ma quel sorriso era un sorriso stanco e dimostrava quanto mi facesse male pensare ai miei vecchi ricordi.
Mi sorpresi quando squillò improvvisamente il mio telefono, e lo presi, aspettandomi Roxy o Ashton, ma quando vidi quel prefisso mi bloccai. Sentii un tuffo al cuore scavato nel mio petto.
Il mio sorriso svanì, quando fissai ancora lo schermo illuminato. C'erano due possibilità: o era mia madre o Jake. Mia madre da quando avevo lasciato casa mi aveva chiamato solo una volta. Il suo tono era freddo ma con un fondo di dolore e mi ricordava costantemente, quanto odiassi me stessa per averli lasciati in quel modo.
Ma Jake mi chiamava ogni giorno e io ogni giorno ignoravo le sue chiamate.
Però, i messaggi che mi lasciava in segreteria li ascoltavo. A volte sembrava arrabbiato o confuso, altre volte triste, a volte era felice raccontandomi della sua giornata come se facesse finta che io fossi ancora lì con loro. Ma indipendentemente, dopo ogni suo messaggio scoppiavo a piangere.
La mia testa mi diceva di non rispondere, ma impulsivamente accettai la chiamata e presi un respiro profondo facendomi forza per chiunque ci fosse stato nell'altra linea.
- Pronto -
Sentii dall'altra parte un sospiro quasi sorpreso.
- Margot? -
La sua voce fu come un ricordo, quella voce ancora da bambino ma un po' roca che aveva ereditato da nostro padre.
- Hei, Jake- Dissi a bassa voce, sedendomi sul bordo del letto e prendendo un respiro tremante.
-Pensavo che non avresti risposto - Sospirò e sentii una fitta percorrermi tutto il petto. Aveva solo otto anni e io ancora non sapevo come dirgli che fossi dispiaciuta.
- Lo so - Espirai, ascoltando i suoni provenienti dall'altro capo, il suo respiro e suono delle sue lenzuola di Spiderman del suo letto - E che sono stata molto occupata, ma avrei dovuto richiamarti -
- Va tutto bene - Disse piano, me lo immaginai seduto sul letto a gambe incrociate , con il cuscino sopra alle sue gambe, assonato e che teneva il telefono di casa quasi più grande del suo volto.
Mi ricordai quando mia madre mi disse di aspettare Jake, erano le due del mattino, avevo forse dieci anni e mi ero seduta accanto a lei sul divano. Quella sera piangemmo per ore senza dirci una parola. E fu l'ultima volta che facemmo qualcosa come una famiglia.
- Come stai? -
- Tipo ok - Mi disse, sentii il mio petto stringersi e in quel momento avrei tanto desiderato essere lì con lui e preparargli la colazione come ero solita fare ogni sabato mattina e aiutarlo a farlo sentire più che ok.
- Come va con la scuola? - Chiesi, tirandomi indietro, appoggiando la schiena al muro e portandomi le ginocchia al petto, tenendole in posizione con un braccio e tenendo il telefono con l'altra.
- Bene. Inglese è la mia classe preferita - Sorrisi, mentre mi sentii rompere dentro vedendo che lui era come me - Ogni mercoledì, la signora Dewitt ci fa scrivere una lettera per le persona della casa di cura -
- Vi rispondono?-
- A volte. Alcuni, delle volte,rispondono con altre lettere, ma poi non lo fanno più. E mi rende triste questa cosa - Disse con voce un po' spezzata, avrei voluto essere lì per spiegargli e aiutarlo a capire la differenza tra le cose di cui lui sapeva troppo riguardo alle cose di cui lui non sapeva nulla.
- Ti piace scrivere? - Gli chiesi, immaginandomelo in classe seduto, che batteva la matita sul banco pensando a cosa scrivere, un po' come facevo anch'io alla sua età.
- Mmh - La sua voce è morbida un po' ovattata come se avesse appena tirato sul col naso - Voglio essere uno scrittore come te e papà-
I miei occhi si riempirono di lacrime e allontanai il telefono dall'orecchio, tenendolo contro il petto e pregai che non riuscisse a sentire i mie respiri rotti che lottavano contro le mie lacrime.
-Come sta la mamma? -
-Non parla molto. Sta in silenzio per la maggior parte del tempo, ma a volte piange. Ma suppongo di non saperlo, penso-
Si alzò il silenzio per un attimo e io malapena riuscivo a respirare, cercai di non fargli capire quanto distrutta fossi in quel momento.
- Delle volte la sento che piange anche sotto la doccia - Si fermò - Ieri mattina era di fronte al tostapane e piangeva mentre aspettava che le fette si tostassero -
Le sue parole mi facevano desiderare di ritornare a casa, ma sapevo che fosse impossibile. Perchè ovunque era meglio tranne che a casa .
- Ma la maggior parte del tempo sta seduta fuori in veranda o rimane nella sua stanza-
Jake è sempre stato un ragazzino maturo, sia innocente e maturo allo stesso tempo. Mi ricordava me.
- Perchè ci hai lasciato così? Me lo avevi promesso - Le sue parole suonava più piene di dolore che di rabbia e mi fecero cadere a pezzi.
- Mi dispiace, Jake. Mi dispiace - Dissi con voce traballante, e mi augurai con tutta me stessa che avrei potuto spiegargli il perchè della mia partenza e del perchè io non fossi lì con lui o il modo che avrei potuto trovare per esserci.
- Vorrei che tu potessi tornare a casa -
Non seppi come rispondergli, cercai di ricompormi, mentre i miei occhi erano lucidi e presi un respiro.
-Mi manchi - La sua voce era così spezzata e disperata, una lacrima scese sulla guancia e andò a finire sul mio ginocchio e mi portai la mano alla bocca cercando di soffocare il singhiozzo.
- Mi manchi anche tu , Jake -
- Ti potrò richiamare? -
- Si...Si, mi piacerebbe -
- Risponderai? - Disse con voce più tranquilla.
Mi morsi il labbro e mi voltai verso la finestra, guardando il paesaggio al suo esterno.
-Ci proverò -
Entrambi ci mormorammo degli addii e riagganciammo, presi un respiro. Tenni ancora in mano il telefono mentre mettevo le pile di fogli nel raccoglitore.
Feci una doccia, del tutto insensibile per ciò che successe la notte precedente e per quello che successe questa mattina o prima di venire qui. Mi asciugai, per poi mettermi una felpa del college e un pantalone grigio di una tuta. Camminai nel corridoio del mio dormitorio e mi chiusi la porta della mia camera alle mie spalle.
Ma appena entrai nella mia stanza caddi a pezzi. Mi sedetti sul letto, stringendomi nella mia felpa, portai le ginocchia al petto e misi le mani tra i capelli, piangendo con singhiozzi soffocati.
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Out Of Order || Calum Hood
FanfictionMargot Harris è una matricola dellla Columbia University con una visione ingenua e una paura di innamorarsi. Calum Hood è il crudele, figlio di un miliardario e un senior della Columbia University con un passato oscuro e un gusto del rischio. Entr...
