Storia di un fiore e le sue spine

499 31 265
                                    

Si chiamava Lucas George.

Lucas George, il papà di Betsy.

Il solo che si era sempre rifiutato di condannarmi.

Il solo che si era inalberato coi giornalisti e con tutti i vendicatori nei miei confronti, colui che davanti alla domanda «Pensa che Agatha Reid sia coinvolta nell'omicidio e il rapimento di sua figlia, signor George?» aveva risposto alle telecamere puntate su di lui con sguardo furibondo: «Sapete che penso, figli di puttana? Che ci sono le fottute prove che dimostrano che ha fatto tutto Lawrence e che voi siete solo dei miserabili bastardi che vogliono guadagnare soldi sulla sofferenza della mia famiglia e quella di Agatha. Adesso levatevi dal cazzo, viscide bestie, o chiamo la polizia.»

Una parte di me aveva sempre voluto sperare che lui credesse davvero nella mia innocenza, ma sapevo che era praticamente impossibile. Nessuno al suo posto lo avrebbe fatto, le probabilità che mi stesse difendendo solo perché così io non denunciassi Joanne per le sue continue minacce erano fin troppo elevate.

Lo stesso, però, nell'ascoltare le sue parole e nel leggere quelle che mi mandava ogni volta non potevo che gioirne, per poi dilaniarmi dalla vergogna per essere stata felice di una cosa del genere, quando quel padre distrutto non stava facendo altro che tentare per quel che poteva di mantenere in piedi ciò che gli era rimasto della sua famiglia dopo che io e Lawrence gliel'avevamo smembrata.

La moglie che amava.

Di impedire a tutti i costi di perdere anche lei.

Lucas George, il papà di Betsy, sessant'anni inoltrati, con boccoli sale e pepe che un tempo erano stati rossi come quelli della mia amica, una statura esile e piccolina proprio come moglie e figlia, un naso aquilino e gli occhi celesti, il viso tappezzato da rughe e centinaia di lentiggini, una barba folta a coprirgli sempre la mascella affilata.

Era un uomo particolare, molto particolare: di per sé aveva un carattere mite e pacato, di quelli che raramente si incontravano di quei tempi, capace di mantenere serenità e gentilezza anche nei momenti più stressanti e pericolosi. Aveva sempre un sorriso accennato sulle labbra, l'aria di chi era capace di godersi ogni goccia di tempo che gli scivolava addosso apprezzandola al massimo ed erano rare, rarissime, le occasioni in cui si alterava.

Ma quando quelle occasioni avvenivano, si trasformava in un'altra persona.

Il linguaggio di solito semplice diventava grezzo al massimo, tirava fuori parolacce e bestemmie che avrebbero potuto far sanguinare le orecchie anche al più volgare marinaio del mondo, il suo sorriso leggiadro scompariva sostituito da un telaio di rughe solcate dall'ira, gli occhi celesti si adombravano, scuriti dalla collera.

E proprio come sua figlia, anche lui era una di quelle persone che si inalberava sempre solo e soltanto quando a venir offese erano i suoi affetti più cari: Betsy, Joanne... ed io.

Mi era sempre piaciuto, Lucas, sin dal nostro primo incontro, quando Betsy, alle elementari, mi invitò a casa sua. Non era un uomo di tante parole, lui, ma aveva una cordialità innata che lo rendeva davvero affascinante ai miei occhi, diversa da quella di mio padre che invece la condiva con un grande tono umoristico e continue battute per farmi ridere.

Era il solo che difendeva sempre Betsy per la sua totale e assoluta mancanza di voglia di studiare, persino contro la moglie stessa, colei che si lamentava del problema più di me. Litigavano in continuazione per questo, Joanne si indignava come non mai davanti alla serenità con cui il marito accettava i pessimi voti della figlia.

Capitò un'occasione in cui io fui presente a uno di quei litigi. Avevo sedici anni inoltrati ed ero andata a casa George durante il pomeriggio per, ovviamente, costringere Betsy a fare i compiti.

Ignobili affettiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora