Era il 5 marzo, una domenica qualsiasi per il resto del mondo.
Avevo dieci anni.
Io e mamma stavamo andando in chiesa, eravamo ferme con la macchina davanti a un semaforo rosso e quando scattò il verde e attraversammo l'incrocio, una BMW guidata da un ubriaco ci travolse in pieno.
Di quello scontro mi sarebbe rimasta una sola memoria.
Mi risvegliai la notte stessa di quel giorno su un letto d'ospedale, più intontita che mai a causa degli antidolorifici, fasciata dalla testa ai piedi, con gambe e braccia ingessate, troppe costole rotte per poterle contare, migliaia di tubi attaccati al corpo, macchinari giganti a circondarmi per registrare i miei segni vitali.
Vidi papà, quel papà che incontravo solo ogni tanto, qualche volta all'anno, che mi regalava sempre qualcosa non appena ci rivedevamo, con un sorriso gentile e gli occhi sempre colmi di luce.
Quel papà che era il solo che si ricordava di farmi gli auguri di compleanno, di mandarmi cartoline ad ogni suo viaggio di lavoro, di portarmi al parco giochi quando mi veniva a trovare.
Non ci parlavamo molto tra di noi, non lo avevamo mai fatto, eravamo sempre stati troppo distanti, io nello Utah e lui in Arkansas, e seppur lui avesse cercato di colmare quella lontananza per quel che poteva nei nostri rari incontri e le varie telefonate, mai ero riuscita a considerarlo come un padre vero e proprio, sempre e solo come l'uomo che mi aveva messa al mondo.
Era seduto accanto al mio letto, su una sedia tirata fuori da chissà dove, i ricci corvini, così neri da sembrare esser stati intinti dalla notte, da me ereditati, gli esplodevano dalla testa come cirri impazziti. Indossava una camicia bianca tutta sgualcita e spiegazzata, un paio di pantaloni beige, e gli occhi scuri erano presi a scrutarmi, osservarmi in silenzio.
Era diverso dal padre sconosciuto che ero abituata a vedere, di solito vestito impeccabilmente, pur con abiti non troppo costosi ma sempre raffinati. Eppure, addosso aveva il sorriso di sempre: delicato e gentile, il più buono che mai avessi incontrato.
Lo osservai soltanto, mentre lui a voce alta chiamava gli infermieri per avvisare che mi ero appena svegliata.
Ero ancora troppo confusa dagli antidolorifici per capire cosa stava succedendo, mi accorsi presto di esser circondata da tante persone, e non solo medici e infermieri. C'erano anche volti ignoti, solo più tardi avrei scoperto che si trattava di assistenti sociali.
Le loro voci mi scivolarono in testa sciogliendosi come un dado da brodo nell'acqua bollente, non distinsi le parole ad una ad una, ma ne compresi il significato intrinseco.
Ero la sola sopravvissuta a quell'incidente stradale.
L'autista di quella BMW aveva perso la vita sul colpo, mia madre, invece, dopo esser stata portata con me in ospedale, aveva passato le successive sette ore nella sala operatoria, morendo poi a sua volta mentre i medici tentavano di salvarla.
Io, non si sa per quale miracolo, invece ne ero uscita fuori.
E non appena udii quelle voci, non appena ne compresi appieno il significato e lo ricollegai alla sola memoria che mi era rimasta dell'incidente, un urlo straziante, divorante e disumano mi attraversò, lacrime grandi quanto pianeti mi rigarono il volto già tumefatto, mi distrussero la carne pestata.
Mio padre, gli infermieri, gli assistenti sociali e i dottori fecero di tutto per consolarmi per la perdita che avevo appena subìto.
Ma loro non sapevano, oh no, non sapevano, mai avrebbero potuto anche solo immaginare quello che veramente stavo provando.
Era il 5 marzo, una domenica qualsiasi per il resto del mondo.
Avevo dieci anni.
Il giorno in cui diventai ufficialmente un mostro.
N.A.
So cosa state pensando, muffins.
Simo, ma c'hai da finì Apologia di Callisto!
C'ETE RAGIONE.
Ma volete sapé perché ho avuto bisogno di pubblicare sta storia?
Perché a suo modo questa storia è L'OPPOSTO di Apologia di Callisto.
E anche perché con Apologia di Callisto sono alla fase finale/finalissima, quindi posso prenderla più scialla.
E anche perché...
C'EVO VOGLIA.
Più che altro perché 'sta storia è davvero un esperimento gigantesco per me, che sto sistemando DA ANNI, ho davvero bisogno di capire se sto facendo la più grande genialata della mia vita o la più grande stronzata della mia vita.
Percio sì.
C'EVO VOGLIA.
DON'T GIUDICATEME PLIZ.
Me correggo ora che posso:
Apologia di Callisto è COMPLETATA.
Oh yes 💅🏻💅🏻💅🏻
STAI LEGGENDO
Ignobili affetti
ChickLitAgatha e Lawrence sono figlia e padre e il loro era un amore talmente profondo da non lasciarsi fermare nemmeno dal grande ostacolo che li separava: i loro rispettivi segreti. Insieme, infatti, avevano riscoperto l'incanto e la meraviglia dell'affet...