Mignolo

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Si chiamava Betsy George.

Ultima vittima di Lawrence Reid e il primo filo della mia vita ad esser stato reciso, il primo filo della mia vita a venir tranciato, prima ancora che si scoprisse tutto, come preannuncio dell'inferno che presto avrei incontrato in quella sala interrogatori.

Il primo filo della mia vita che aveva scelto consapevolmente di legarsi a me, di faticare, sudare, lavorare al massimo pur di superare il grande scoglio della mia fobia.

Capelli come boccoli a fuoco, lentiggini e occhi dolci, di un marrone profondo, così intenso da sembrare oscurità pura se visto in ombra.

Betsy George, la mia più grande e vera amica.

Mia sorella.

Colei che elaborò un meccanismo adatto a farmi abituare al suo tocco, quand'avevamo sedici anni, lo chiamò: Operazione Mignolo.

Perché era proprio dal mignolo che era partito tutto, proprio dal dito più piccolo della mano.

Un semplice intreccio tra il mio e il suo, un semplice gesto che in tantissimi, forse addirittura tutti, al mondo hanno avuto modo di sperimentare da piccoli, per quelle promesse che i bambini tendono sempre a fare, anche per cose che agli occhi dei grandi appaiono scontate ma per loro sono invece concetti imprescindibili, giganti assoluti a cui nessuno può andar contro.

Ma non io.

Perché lei non faceva promesse.

Lei non stringeva la mia mano se non la domenica quando andavamo a messa e incontravamo gli altri fedeli.

Lei mi racchiudeva le dita tra le sue e mi diceva tutto ciò che dovevo sapere e dovevo fare, e allora io la seguivo in silenzio, cercando di mantenere il ritmo del suo passo veloce e scattante con le mie gambe, di non irritarla perché ero troppo lenta e la trascinavo indietro, annuivo ancora e ancora, provando a non arrossire per non infastidirla di nuovo, e così ci legavamo, noi due, così ci univamo, noi due, ma era un contatto fragile come la carta, destinato a strapparsi e strapparmi nell'attimo stesso in cui rincasavamo.

Betsy George, ventitré anni, ultima vittima di Lawrence Reid.

La seconda persona al mondo che riuscii a toccare.

La prima e sola con cui potei fare la promessa del mignolo.

Lo propose un giorno festivo qualsiasi, quand'eravamo sedute alla sua scrivania durante la pausa dai compiti per cui tanto mi aveva pregata, e davanti alla mia esitazione, il mio terrore, mi sorrise e fece l'occhiolino.

Perché Betsy George, la mia unica amica, proprio come mio padre, non aveva idea di cosa avevo veramente paura, all'idea di toccarla. Non poteva neanche immaginare qual era il mio spavento primordiale.

Che non appena la mia pelle avesse sfiorato la sua, lei sarebbe appassita.

Avrebbe perso tutti i suoi petali all'improvviso, e da fiore rigoglioso sarebbe diventata erbaccia da buttar via, senza più colori a pitturarla, senza più vita ad annaffiarla.

Proprio come quel bouquet che lei lasciava sempre sul tavolino, sarebbe avvizzita a causa di tutti i miei fallimenti e orrori, e l'istante prima che marcisse del tutto, mi avrebbe guardata negli occhi e in essi io avrei subito visto quell'odio che mi era ben noto.

Ma poi sollevai il capo e incrociai i suoi occhi.

Gli occhi di Betsy George, ragazzina a rischio bocciatura dai tempi dell'asilo nido, incapace di provar paura, con la parlantina infinita e il cuore più grande e dolce che avesse mai battuto per accompagnare la sinfonia del mio.

Ignobili affettiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora