Macarons

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Non volli più pensare, così decisi di investire il mio tempo in altri modi.

E per occuparlo, mi dedicai a quelle attività che ormai da anni non facevo con così tanta diligenza: cucinare e preparare dei compiti di base per i gemelli pestiferi, di modo da tentare di colmare le loro lacune grammaticali.

Sebbene mi straziasse farlo, perché ad ogni secondo venivo ferita dal ricordo vivido di Betsy, delle torri di appunti e schemi che preparavo per lei per agevolarla con lo studio, e di mio padre, di come assaggiava ogni mio piatto con il suo sorriso e i suoi mille complimenti anche quando mi veniva orrendo, era comunque meglio che ripensare a quanto discusso con lui proprio quel mattino e al sogno avuto sulla mia amica.

Perché non volevo cedere, non potevo cedere alla speranza.

Non più.

Ma questa singhiozzava e piangeva, mi scongiurava di ascoltare anche solo una sua parola, e allora io la mettevo a tacere intasando la mente con tutti gli impegni di cui finora mi ero privata e con l'altro solo obiettivo che mi ero imposta, dopo quello del 5 agosto.

Ovvero evitare Dante il più possibile, quando andavo a trovare i gemelli.

Mi era ormai chiaro che lui, per me, era un vero e proprio filo spinato da cui stare alla larga. Qualunque mossa facessi, correvo il rischio o di adirarlo e irritarlo o comunque di esser giudicata dai suoi occhi severi. Aveva dato dimostrazione più volte di non fidarsi di me, e sebbene sapessi quanto avesse ragione nel farlo, comunque non me la sentivo di provare in qualche modo a dimostrargli che meritavo fiducia.

Come il resto del mondo, ero più che cosciente del fatto che avrebbe messo in dubbio ogni mio gesto.

Se avessi dato la risposta sbagliata, se avessi detto la cosa sbagliata, avrei peggiorato ancor più la visione già tremenda che aveva di me, e poiché non avevo la più pallida idea di quali potessero essere le mosse migliori per fargli cambiare idea, o meglio, poiché ero più che certa che non esistesse un modo per fargli cambiare idea, l'unica soluzione che trovai per impedire al suo giudizio nei miei confronti di peggiorare drasticamente fu proprio di stargli alla larga il più possibile.

Così, la prima cosa che feci fu andare a cercare al cellulare il luogo in cui lavorava. Non mi ci volle così tanto per trovarlo, si chiamava Black Heart Tattoo, e si trovava in periferia, piuttosto distante da dove abitava con i gemelli. Gli orari di lavoro erano dalle nove e mezza del mattino fino alle dodici e poi dalle tre del pomeriggio fino alle sei e mezza di sera, il sabato e la domenica erano chiusi.

Questo significava che dovevo andarmene via da casa dei gemelli per le sei di sera, per evitare di incontrarlo.

Mi vergognai molto di me quando, una volta conclusa quell'indagine, invece che richiudere il telefono e tornare a preparare il dolce che avevo in mente, persi fin troppo tempo a guardare le immagini dei tatuaggi che il sito del negozio aveva postato per mostrare i loro lavori. Sotto ciascuna di esse venivano indicati i tatuatori che avevano realizzato quei disegni su pelle.

E detestandomi ad ogni secondo mi andai a cercare tutti quelli realizzati da Dante, arrossendo umiliata da me stessa per aver ceduto così facilmente alla tentazione di sapere più di lui e di quella che era la sua professione.

D'altro canto, però, non era poi così sbagliato, almeno così provai a dirmi. Non c'era nulla di male nel volerne sapere di più sul suo lavoro, non gliene avrei mai parlato e certo non mi sarei messa a discuterne con lui, sarebbe stata un'informazione che avrei custodito in segreto, senza rivelargliela mai.

Era bravo, davvero, davvero bravo. Non me ne intendevo molto di quell'ambito e men che meno di tatuaggi, ma persino un occhio ingenuo come il mio non poteva che notare la professionalità e la capacità straordinaria che aveva nell'incidere l'inchiostro nella carne fino a trasformare quella che doveva essere in principio solo una ferita in un vero e proprio capolavoro artistico.

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