Il filo d'Arianna.
Uno dei miti più famosi dell'Antica Grecia.
Teseo, smarrito nel labirinto del Minotauro, riuscì a ritrovare la strada con cui uscire proprio per merito di quel filo che Arianna gli aveva dato in dono, e così era potuto sfuggire alla morte che inesorabile l'attendeva insieme a sofferenze e agonie indicibili.
Pochi mesi dopo la sentenza di condanna a morte di Lawrence Reid, un famoso criminologo venne intervistato, egli dichiarò che le menti come quelle di mio padre erano dei veri e propri labirinti in cui i criminali stessi erano sprofondati e da Teseo si erano trasformati in Minotauri.
Nessuno avrebbe saputo però dire con certezza chi avesse costruito quel labirinto tutt'attorno a loro: loro stessi? L'ambiente e le persone che avevano incontrato? Una predisposizione genetica? Tutte queste tre cose assieme?
Chi era stato il loro Dedalo?
Non lo si sapeva, forse non lo si sarebbe mai scoperto.
Di certo mio padre non lo sapeva.
E nemmeno io.
Era stato ironico e crudele ascoltare quell'intervista, perché io conoscevo bene il mito di Teseo e del filo d'Arianna, me ne aveva parlato una volta Betsy, una delle sue tante passioni a cui si dedicava anima e corpo invece che sul programma di studi scolastico.
Era stato ironico e crudele ascoltare quell'intervista, perché il giorno in cui avevo scoperto l'esistenza di quel mito, anni prima, avevo pensato di essere io quella intrappolata nel labirinto, Teseo, e mio padre Arianna, colui che mi aveva dato il filo per uscirne, per dimenticare l'oblio delle tenebre e del passato, lo smarrimento di un mondo di specchi, il peccato di esser nata.
Ma con quel filo papà era riuscito a tracciare una scia di luce persino nel buio assoluto del mio labirinto, e allora io mi ci ero aggrappata con forza con le dita e avevo iniziato a seguirlo, per non farmi trascinare dalle correnti dense di tutte le mie ombre. Mi ci ero aggrappata con forza con le dita e per la prima volta avevo osato avanzare invece che indietreggiare.
Perché sapevo che dall'altra parte del filo, una volta uscita dal labirinto, ci sarebbe stata una casa ad attendermi.
La mia casa che era il mio papà.
Io avevo seguito quel filo ogni giorno, mi ero fatta ammaliare dalla sua luce ogni giorno, come un insetto l'avevo seguita per non perdere senno e memoria nell'oscurità viscerale che mi circondava.
E l'avevo seguito, quel filo, sì, ancora e ancora.
Ad ogni passo avevo sorriso, ad ogni passo avevo sperato, ad ogni passo avevo amato.
Ero stata felice.
Ma avevo dimenticato il dettaglio più importante, ciò che davvero mi differenziava da Teseo.
Che lui aveva ucciso il Minotauro.
Io no.
Il mio segreto era più vivo che mai, lo sarebbe stato per sempre, e mai sarei riuscita a liberarmi da esso, sarebbe stato una condanna a gravarmi sulle spalle fino alla mia fine.
E per quanto con quel filo avessi tentato di allontanarmi da lui, il Minotauro rimaneva, restava e resisteva imperterrito, stringeva a sua volta il filo e lo trascinava indietro per impedirmi di arrivare all'uscita, per ricondurmi a lui, ricordarmi con costanza che c'era, esisteva e viveva e mai mi avrebbe lasciata scappare.
Che lui era il vortice a cui inesorabilmente sarei ritornata, risucchiata dalla forza inaudita delle correnti di cui entrambi facevamo parte, quelle a cui mai avrei potuto nuotare contro, sempre solo farmi trascinare da loro, perché a quel vortice d'oscurità vi appartenevamo, io e il Minotauro, come il respiro ai polmoni.
STAI LEGGENDO
Ignobili affetti
ChickLitAgatha e Lawrence sono figlia e padre e il loro era un amore talmente profondo da non lasciarsi fermare nemmeno dal grande ostacolo che li separava: i loro rispettivi segreti. Insieme, infatti, avevano riscoperto l'incanto e la meraviglia dell'affet...