Melagrana

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Non capivo ormai.

Non capivo più niente.

Che cosa voleva dire papà? Cosa intendeva?

Che mi amava? Che mi voleva bene? Per questo rimandava in continuazione tutti i suoi piani di uccidermi, trovando falle che non c'erano?

Era questo il suo concetto di "affetto"? Questo il solo modo che conosceva per voler bene a qualcuno?

Perciò... si era convinto di star recitando con me come con tutti quanti gli altri, quando a conti fatti era tutto vero, solo che non se ne rendeva conto? E se era così... nell'attimo in cui aveva compreso che le sue non erano menzogne, non con sua figlia, almeno... aveva subito individuato la causa di quella stortura nella sua vita così deviata per gli altri, così normale ai suoi occhi?

O nemmeno così l'aveva capito? Si era reso conto di star mentendo a sé stesso, ma non era stato in grado di comprendere il perché di ciò? La sola consapevolezza che aveva ottenuto, con quella realizzazione, era che la sua verità assoluta - poter uccidere chiunque - ora era stata per sempre distrutta da me?

E soprattutto... quando lo aveva fatto?

Qual era stato il giorno specifico in cui si era reso conto di quella realtà?

Non lo capivo.

Non lo capivo più.

Un'unica certezza avevo ottenuto, con quella nostra ultima conversazione.

Lui e lei avevano davvero stipulato un accordo, dopo che lei l'aveva fregato, e quell'accordo riguardava anche me.

Il vero motivo per cui veniva a trovarci di tanto in tanto, per cui la frequentava e usciva a degli appuntamenti con lei, nonostante tutto quello che lei gli aveva fatto. Il vero motivo per cui lei, davanti a papà, cambiava totalmente atteggiamento nei miei confronti: cercava di sfruttare al massimo il vincolo con cui l'aveva intrappolato a sé, quella figlia con cui l'aveva incastrato per sempre. Forse sperava ogni volta che, nel vedermi, lui cambiasse idea, cedesse del tutto e accettasse di diventare una vera e propria famiglia, e così, quando inesorabilmente lui se ne andava via, distruggendo le sue aspettative...

Lo sai che devi dire allo specchio, Agatha?

La sigaretta che avevo appena sfilato dal pacchetto si spezzò tra le mie dita, ricadendo per terra. La guardai, seduta al tavolino, ne fissai il tabacco sgorgato fuori che come polvere secche sporcava il pavimento.

Avevo ragione.

Io ero il frutto di un intreccio di catene di mostruosità e violenze, da parte di entrambi, l'ultima spora di una realtà di infezioni.

Era assurdo realizzare che papà era riuscito a incontrare una donna come lei, così identica a sua madre, proprio come se qualcuno l'avesse messa lì apposta, nel percorso di orrori che lui stava intraprendendo, solo per poterlo indurre a macchiare ancor più le anime di tutti e due con la mostruosità. Le possibilità di quell'incontro erano minime, ridicole, infinitesimali... eppure si erano realizzate lo stesso.

Eppure io ero nata lo stesso.

Ero riuscita a diventare la sola persona che papà non era in grado di uccidere.

Un'altra condanna? L'ennesima punizione?

Agonizzavo al pensiero di quanto io e lui fossimo così simili, di quanto io e lui fossimo legati l'uno all'altra e non solo per il DNA che ci caratterizzava, non solo per le fisionomie del viso, ma anche per i nostri passati, per quello che ci eravamo ritrovati a vivere.

Forse era proprio per quel motivo che, pur non conoscendo il mio segreto, papà si era scoperto incapace di ammazzarmi: in qualche modo, forse, il suo inconscio lo aveva sentito.

Ignobili affettiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora